Tuesday, April 15, 2008

La sedia del barbiere


Il Luogo della Metafisica non può essere che la sedia del Barbiere.
Grembiule al collo, capelli bagnati, levo gli occhiali e il mondo si spegne, mentre le forbici mi girano intorno separandomi da un passato fatto di capelli.
Gli specchi di sala s’accollano il mio riflesso per il tempo necessario, la filodiffusione commercia musica e riferisce il mondo, mentre i prodotti estetici si rinnovano sulle mensole grazie alle brillanti ricerche dei laboratuàr e a nuove imprevedibili mescolanze chimicoproteiche.
Le luci diffuse, i giornali in offerta di notizie, la passata di setole sul collo e tu non sembri nemmeno più tu: eh voilà, un mutuo d’immagine appena acceso.

Il barbiere, giorno dopo giorno, ha conosciuto il Mondo, perforandone la sostanza psicofisica dal marciapiede agli antipodi e piazzando la Bottega sul foro aperto, come a filtrarne le idee emerse.
Ha raccolto e sincretizzato la saggezza popolare, la sintesi dell’opinion pubblica e l’esperienza personale, consapevole che, mentre tutto scorre, ramazzato come i capelli a susseguirsi sul pavimento, lo Spirito invece si stratificava sulla sua figura, come un’abilità di forbice acquisita.
Il barbiere taglia via la lanuggine del collo ed i pensieri sovrabbondanti, definendoli come il rasoio di Occam.

Sabato mattina, ore sette del mattino, minutaggio indecifrato nel sonno.
La terra trema.
Mi sveglio, analizzo& realizzo: il terremoto.
Poi finisce, non è successo niente, son sempre le sette del mattino.

Ma al Barbiere de Lu Paese, la sala resta coinvolta sull’argomento.
Il Barbiere risoluto nonché indefesso, illustra la differenza tra l’ondulatorio e il sussultorio e spiega perché i lampadari non hanno tremato, salta con disinvoltura da un Richter ad un Mercalli e smentisce un luogo comune: “Questa volta anche li cani si so fatti li cazzi sii.”
Mai fidarsi, il terremoto è imprevedibile, ed è l’unica cosa che terrorizza chi non ha paura di niente, perfino il Barbiere.
Ricorda gli anni in cui c’è stato lo sciame sismico, ogni tot una scossa al circondario, che nemmeno si scendeva più.
Ricorda il terremoto del 1980, ed uno che dall’Irpinia era poi finito a vivere a Lu Paese: ci racconta che il poveraccio era seduto a tavola con tutta la famiglia, spalle al muro, quando il muro è finito in mezzo alla strada insieme a lui, mentre la famiglia è rimasta là, tra le macerie e la cena.

flashback 1
Astratto sulla sedia del Barbiere, anch’io ricordo.
Ricordo che era il 23 novembre 1980 ed io ero bambino in quel di Caserta.
Stavo giocando con Alfredo, dentro uno sgabuzzino di casa sua, quando le pareti iniziarono a scuotersi, tutto prese a cascare e io pensai che forse non era Alfredo che faceva lo scemo con le pareti.
I miei non c’erano e nemmeno i genitori di Alfredo. S’erano convinti ad andare a Napoli, in pulman, al teatro da Eduardo de Filippo. Stavamo con due babysitter di ventànni, io coll’amichetto mio, mia sorella coll’amichetto suo: 8 anni io, 3 lei. Il primo pensiero fu fare quei due piani di scale che ci separavano per sapere come stava, imparando al volo e d'istinto

che non bisogna prendere l’ascensore.
Ricordo la popolerìa riversate per strada a secchiate condominiali, i bambini che piangevano e le vecchie che arrochivano gli strilli ululando sui marciapiedi le marònne mie alla luna, la sera che arrivava e portava lo scuro nelle case svuotate, le radioline che dicevano degli epicentri e dei mercalli e io mi chiedevo se i palazzi crollavano per verticale o per orizzontale. La baby sitter fu in gamba, ci portò a casa sua. I miei arrivarono nella notte: mi raccontarono poi di lampadari oscillanti sul teatro, di gente in fuga che camminava su altra gente, di una donna in crisi epilettica, di una città attraversata da nord a sud in mezzo ai cornicioni che cadevano, del casuale intercetto di un autista di pullman che faceva servizio di linea e che voleva tornare a casa addò mammà, ma che si accollò l’onere del traspoto intercittadino, guidando a fari accesi come un pazzo nella notte, attraversando collane di paesini sulla statale, tra pianti, urla, fuochi accesi e polvere di crolli.
Fummo tra le pochissime famiglie che tornarono a dormire a casa.
I giorni successivi non si andò a scuola, ci abituammo ad osservare il filo del lampadario e a considerare plausibili le scosse di assestamento.

Poi pian piano, ricominciammo a far passeggiate col passeggino, l’uomo ragno affrontò il punitore nel numero in edicola e tutto tornò come prima.
Anni dopo, la terra trema di nuovo in Umbria.
Mi ritrovo a passare per Colfiorito, un epicentro sismico nascosto in un gruppo di case dimenticate su un altipiano. All'entrata del paese, una casa aperta come una lattina di sgombri, solo che nulla è sgombrato tranne la parete: poltrone, tavoli e mobili della sala da pranzo, stanno tutti là, esibite come il cartello "wilkommen ...".
La casa delle bambole, la chiamavano.

Il Barbiere nel frattempo è passato ad altri argomenti.
Adesso riferisce, in coro con la sala, delle vicissitudini di uno sfortunato matto del Paese, o’ Grillu.
O’Grillu oggi sta in un istituto psichiatrico, fuori, non da queste parti.Aveva tentato di ammazzare un poliziotto, una volta ci aveva dato una picconata al padre, chillu o ‘Grillu era pericoloso, teneva la schizofrenia omicida.
Ma non era stato sempre così. Sono stati l’alcol e la cocaina. E le pasticche. Ma no una, una scatola. Anche se magari era predisposto.Comunque non è mica l'ultimo ch'è finitu male.


...e anche qui, la memoria torna indietro.


flashback 2

Biennio ’92-’94. C’è il boom dei rave. E delle pasticche. CCCP, Batman, joker, simpson, missili, dragoni: acide o anfetaminiche, pareva non esistesse altro sotto al cielo. Io, spettatore laterale esterno, ho conosciuta qualche storia. Quella di R., è stata la peggiore. Non ero suo amico, lo salutavo appena, ma eravamo coetanei, forse lui qualcosa in meno.
Ci incrociavamo nelle estati agropontine: lui con la sua tribù, io con la mia, un po’ di cagnesco adolescenziale in mezzo. Me lo ricordo mentre imparava ad andare sul Si con una ruota sola, davanti al bar del moro.
Ma in quel biennio, tutti si affratellarono facilmente nella chimica dei segreti condivisi. Si strinsero alleanze, si partiva sabato dopo sabato per templi tecnobiblici che si chiamavano Red Zone o Baia Imperiale, si svolgevano Epiche Lisergiche a Perugia o a Rimini, si stava come d’estate sugli alberi le fragole, sì, proprio le fragole.
Non potevano durare, prima o poi la botanica della vita li avrebbe smentiti.
Un sabato pomeriggio, un controllo degli addetti alla pubblica sicurezza ai lati dell’autostrada fermò una macchina, e venne fuori che ciascuno con le proprie scorte d’edulcorazione per la notte. R. rifiutò ogni addebito, la colpa finì al più confuso, che si beccò una condizionale poi felicemente prescritta dalle istituzioni e dalla vita, ma i rapporti si distrussero.
R. continuò ancora un po’.
Qualche tempo dopo lo incontrarono sulla spiaggia d’inverno mentre camminava con un parente, la testa persa nel vuoto.
Per un paio d’estati, si vide ancora in giro, gonfio di farmaci, parzialmente scremato dalla nebbia, ma mai ritornato all’età che gli competeva. Preso in accudita simpatia dai più giovani, girava chiedendo di fare qualche tiro e spesso cantando una canzone andante che parlava di un falco che va, senza catene, che fugge gli sguardi perché sa che conviene, indifferente sopra la gente.
Un falco a metà.
Ma si aggravò. Pare risedesse stabilmente in clinica. Un giorno, si dice che preso da un raptus di lucidità e da un irrefrenabile rimorso, aprì la finestra dell’ospedale e completò il volo per sempre.


Il Barbiere mi chiede se li lascio naturali o ci voglio un po’ di gel.
Naturali, grazie.
Poi dicono che non ci vado mai a tagliarmi i capelli.


Sono seduto su un grattacielo
vedo gli aerei passare
poi guardo giù voglio saltare,
voglio imparare a volare.
E allora volo via,
siamo in viaggio io e la mente mia
guardami ho già spiccato il volo
ed ora sono proprio sopra casa tua.
Il falco va senza catene,
sfugge agli sguardi sa che conviene
è indifferente sorvola già,
tutte le accuse boschi e città
io che son falco, falco a metà….
Sono di nuovo sul grattacielo

ed ho imparato a volare
se guardo giù quello che vedo
ora è la gente passare
E chissà se questo è
il segreto per vivere con me
seduto su un grattacielo devo stare,
in alto come un falco
per non farmi catturare.
Il falco va senza catene,
sfugge agli sguardi sa che conviene
è indifferente sorvola già,
tutte le accuse boschi e città
io che son falco,
falco a metà…

1 Comments:

Anonymous Anonymous said...

Capolavoro!Più di vent'anni viaggiati in poche frasi..
Lau

16/4/08 2:44 AM  

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