Wednesday, February 07, 2007

autostrading



Piùfforte di mè.

Ogni volta che rotolo verso sud, mentre ripasso memorie piumonate sul sedile posteriore, punto il naso sul finestrino e mi dedico all’osservaggio autostradale dell’A1.
Fra i tanti sport estremi e anglofonicamente gerundivi, spioppanti come funghi, piuttosto che il birdwatching propongo l’autostrading. Occorrerebbe fermarsi sulle corsie demergenza, scendere, fotografare in quadricromia e quattrostagioneria e penetrare a zompi sugli scenari, a voli radenti di deltaplano, conquistando cime col furore dei bambini liberati e bussando morettianamente alle porte di quelle case intraviste per chiedere: “Scusi, ma lei come vive qua dentro? Chi c’è con lei? La domenica va a pranzo all’autogrill? Lei ci va mai a Caianiello città, a Pontecagnano, a Buccino? E lei ci sale sui pendii retrostanti o non ci va nessuno, cioè tutti ci passano, dicono che bello qui, s’immaginano scout per un giorno ma poi al massimo prendono il menù colazione, sobillati dagli addetti del posto ristoro di Teano? Ma ha visto quante cassette porno ancora si vendono alle pompe di benzina? E che titoli, signore mio…“

L’uscita dal lazio è una discesa o una salita, secondo la direzione, è sempre percorsa con ansia d’arrivare o di tornare. San Cesareo, Valmontone,Colleferro, Anagni e Pontecorvo… son telegiornali e isoradio e qualche fabbrica di laterizi a latere.

La Campania invece si fa riconoscere. Spesso pianeggiante, rifulge dagli orti. Attualmente, spicca il brillare dei fiori gialli dei broccoletti e l’intensità della lattuga larga. Appezzamenti delimitati cartesianamente pè l’ortofrutticolo esuberante inclinato.
Si le pummarole, i pastifici… ma i broccoletti so più smeraldigni. Che poi lo senti che sei al sud, che è un’altra cosa, che i cani so più figghiendrocchia e le campagne sanno di terra e colesterolo e polvere nei capelli duri.

Poi c’è Salerno e l’inferno di lamiera, i condannati delle code allo svincolo e i lavori d’ampliamento dell’autostrada affinché giunga, io credo, a New York. Altrimenti non si spiega.
Hanno costruito le corsie a balconate e platea. Ma va tutto bene, purchè inaugurino.

Arrivi in Basilicata e ti si aprono le valli. Trionfo della violenza scoscesa, contrafforti petrosi e altezze reali. Quest’anno s’apprezzano i cambiamenti climatici. Laddove c’erano metri di neve da affondarci e sperderci l’occhio all’orizzonte profondamente bianco, oggi non c’è un cazzo di neve, na spruzzata di borotalco stentata, ma giusto in cima al Pollino. Fiorivano i peschi, piuttosto.

Vastità di spazi anabitati, cucuzzoli di paesi isolati come ciliegie sulle torte, seminazioni d’alberi e sassate. Quando s’annuvola le petre s’accigliano nello scuro, e se tra i nembi di nuvole disposte a passamontagna escono due occhi di luce a disco, il verde che si becca il raggio si fa color basilico, che altrimenti non si chiamava così sta regione lucana.

Scendo più giù, fino a Lamezia. Con la Calabria cambia tutto. Gli ulivi si distribuiscono a manciate non di grossa pretesa, e l’obliquo pervade ogni costruzione, d’alberi, di tralicci e forse di case, che la torre di pisa si dovrebbe vergognare, brevi colline staccate nette come tette, colori bruciati e improvvise apparizioni del mare, blu, scuro e deciso. Non un mare degradante e scolorantesi dal turchese all’oltremare, ma il mare aperto blu, da subito e non so se hai capito.

Raro dormire in albergo, rimango sospeso come un sorriso di cortesia tra le ritualità cordiali dell’ ospitalità e il pensiero che poi nelle stanze ognuno si fa i cazi suoi.
La stanza da sul mare, il quale come tutte le sere, immagino, fa risacca e si sente il rumore. E penso che sì, ci vivrei vicino al mare, mi piacerebbe apprezzarne l’esistenza per dodici mesi all’anno e non solo due tuffi ogni tanto se non è troppo fredda e se non hai mangiato da almeno tre ore, altrimenti muori.

Mi ritrovo a far colazione in un albergo vista mare, si vede Tropea – ah le cipolle rosse! - , Capo Vaticano e forse pure Stromboli. Questo mi vedo con la spremuta davanti, in una sala dove le sedie sono urli di zebra sintetica!

Lamezia avrà 500.000 mila milioni di abitanti circa, è grande tre quattro volte roma, così, ad occhio. Brulica di tutte le età, ferocemente isolata come il resto di una divisione.
S’intravede una cava che è un mozzico in una montagna, un’otturazione saltata.

Visito un capannone, sarà un ufficio. Ai confini di Lucania e Campania ma soprattutto ai confini della realtà. Nessuno di quelli che ci lavoreranno probabilmente aveva pensato di finirci dentro mentre faceva un tema di fantasia a scuola all’età di otto anni. Immagina il tuo lavoro da grande. Nciussapevano cà finiva accussì.

Torno pensando come al solito che il giorno che non avrò impegni scadenzati sulla settimana lavorativa ma tempo libero a volontà, e la volontà non manca, tra i tanti viaggi che voglio fare
c’è l’on the road terron-oriented, con ampio spazio dedicato all’autostrading e dispersione in volo libero sul territorio andato ormai …

E piove ormai già da quattro giorni

la sabbia del deserto viene su dal mare

la pasticcera ha rimesso su le calze

le pieghe del lenzuolo le ha stampate sulla pelle

è passato ormai il tempo dei ramarri

nascosti dentro ai fossi con le facce da idioti

e l’inquietudine cresce dentro come un cancro

e ce n’è di che se io mi lascio andare.

Eh, eh, eh, eh, hei, piove sabbia del deserto

eh, eh, eh, eh, hei, proprio qui in provincia.

Dietro la porta della mia stanza a pagamento

io sento muoversi la padrona della pensione

nell’occhio destro ha la forma della serratura

sono schiavo del suo gioco

perché non le parlo chiaro.

Amore mio, ho aspettato quattro ore

seduto su un muretto bagnato fino all’osso

e la cartella coi disegni a carboncino

l’ho buttata giù di sotto, tanto non sarò mai un artista.

Eh, eh, eh, eh, hei, piove sabbia del deserto

eh, eh, eh, eh, hei, proprio qui in provincia.

Domani vengono a prendermi i parenti

per le feste comandate torno sempre a casa

mi sentirò dire che non ho mangiato

che sono dimagrito,

che sono bianco come un cero.

Amore mio, i tuoi giochini sul divano

me li conto ad uno ad uno

nel sedile posteriore

però più in là io non posso andare

perché ho già bisogno dei tuoi occhi sulla mia pelle.

E la provincia come un’isola di matti

perduta nella pioggia

si allontana alle mie spalle

e l’inquietudine mi cresce dentro come un cancro

sì ce n’è di che se io mi lascio andare.

Eh, eh, eh, eh, hei, piove sabbia del deserto

eh, eh, eh, eh, hei, proprio qui in provincia.

Eh, eh, eh, eh, hei, piove sabbia del deserto

eh, eh, eh, eh, hei, proprio qui in provincia






3 Comments:

Anonymous Anonymous said...

più ti leggo e più non ci fo pace......
lascia sta.
il dente duole dove la lingua batte....
e batterà finché non ci farò pace....e altro giro altra corsa..ma io sn tenace. e' questo il mio difetto..e il mio pregio....
e non me ne fo ragione!!!! ;)))

7/2/07 4:47 PM  
Blogger paolo_ said...

pace Sibel, pace!
però, complice sto sonno mattutino che mi sforzo di nascondere, qualcosa mi sfugge. Il punto di battuta della lingua o di dolenza del dente.
Come posso affiancarmi alla tua tenacia?
Baci colle bolle di sonno
;)

8/2/07 12:41 AM  
Anonymous Anonymous said...

Ma perchè mi è sfuggito questo post! bellissimo..
l'A3 è davvero l'autostrada infinita, simbolo del lassismo e della mafia del sud, anzi no della mafia d'Italia, di tutta l'Italia.
Non ho avuto modo di vedere la mia Lucania quest'anno, e non so immaginarmela d'inverno senza freddo e senza neve!

12/2/07 1:41 AM  

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