Guccini al palaeur
C’è un linguaggio aulico e semplice che va oltre il proprio e il dolore circospetto che ci portiamo nei sottofondi per una causa del vissuto che non si è svolta secondo la trama lo svolgimento e la conclusione che sarebbe il filo della matassa che la tua testa metteva come the end e vissero felici e contenti e salariati e invece il filo lo hanno messo a fare un maglioncino di una fottuta marca del cazzo e te la prendi nel culo se vuoi mantenere quel minimo di copertura assicurativa che faranno di te e del tuo affitto una città sotto la neve in una palla di vetro con la scritta Curmayè, Vienna, Bologna senza essere curmayè vienna bologna ma solo un coccio di vetro con una stronzata dentro.
E allora fra poesia e raccontare ti vengo a parlare di storie che ci appartengono, se non sei pecora bianca e se credi che a via paolo fabbri 43 ci abiti Guccini e non un disco che comprate i miei dischi e non sputatemi addosso, e il perbenismo la borghesia son uguaglianze che a raccontarle non son quelle che ti vivono dentro, e senza far caso alla grammatica, ti vengo a dire schiettamente, come un cazzo in culo e non come voglia di arrivismo, che le parole di cui abbiamo bisogno sono sospese tra una rima soltanto/amaranto e una semplice dichiarazione che “hai voglia di me e della vita” e tutto il resto è materia da mettere in vendita per una soddisfazione da ricchi di quest’epoca del cazzo, tra le cambiali pagate per il funerale di dio e i camini di Auschwitz, possa dio, presente o assente che sia, darmi il dono della memoria da tramandare.
Voglio krapfen voglio boiate, voglio incespicare, voglio arrivare per tempo e non per contrarietà, voglio una fiaccola e lanciami a bomba perché il ferroviere del secolo scorso oggi è il ferroviere di un secolo dopo, altro che chiacchiere, voglio stoviglie color nostalgia perché ho vissuto per aver nostalgia e non per un cazzo di niente, voglio giocare l’eterno gioco proibito perché amo, voglio non pensare mai colla stitichezza razionale del “noi non siamo perseguibili per legge”, voglio poterti dire non parlare, parlami di te e non di tutto il resto delle minchiate che ci fanno colloquio intorno. Sii saggio come io son contenta, mi sento in testa.
Io qui mi inchiodo coi miei pensieri,quei quattro stracci che ho avuto ieri non li metto più, per non dover dire non siamo non siamo non siamo, ma per appartenere tra poesia e raccontare a quella poca parte che poi quando esci dal concerto di Guccini ti chiedi: ma come è possibile che quell’altri siano di più?
E’ che quando finiscono sti concerti te viene da dì Grazie Francesco, che tra poesia e raccontare m’hai parlato della rabbia, dell’amore, dell’amicizia e m’hai fatto vedè che si può essere così semplicemente diversi.Grazie per aver scritto le tue canzoni.Che svettano in alto come falconi.
E allora fra poesia e raccontare ti vengo a parlare di storie che ci appartengono, se non sei pecora bianca e se credi che a via paolo fabbri 43 ci abiti Guccini e non un disco che comprate i miei dischi e non sputatemi addosso, e il perbenismo la borghesia son uguaglianze che a raccontarle non son quelle che ti vivono dentro, e senza far caso alla grammatica, ti vengo a dire schiettamente, come un cazzo in culo e non come voglia di arrivismo, che le parole di cui abbiamo bisogno sono sospese tra una rima soltanto/amaranto e una semplice dichiarazione che “hai voglia di me e della vita” e tutto il resto è materia da mettere in vendita per una soddisfazione da ricchi di quest’epoca del cazzo, tra le cambiali pagate per il funerale di dio e i camini di Auschwitz, possa dio, presente o assente che sia, darmi il dono della memoria da tramandare.
Voglio krapfen voglio boiate, voglio incespicare, voglio arrivare per tempo e non per contrarietà, voglio una fiaccola e lanciami a bomba perché il ferroviere del secolo scorso oggi è il ferroviere di un secolo dopo, altro che chiacchiere, voglio stoviglie color nostalgia perché ho vissuto per aver nostalgia e non per un cazzo di niente, voglio giocare l’eterno gioco proibito perché amo, voglio non pensare mai colla stitichezza razionale del “noi non siamo perseguibili per legge”, voglio poterti dire non parlare, parlami di te e non di tutto il resto delle minchiate che ci fanno colloquio intorno. Sii saggio come io son contenta, mi sento in testa.
Io qui mi inchiodo coi miei pensieri,quei quattro stracci che ho avuto ieri non li metto più, per non dover dire non siamo non siamo non siamo, ma per appartenere tra poesia e raccontare a quella poca parte che poi quando esci dal concerto di Guccini ti chiedi: ma come è possibile che quell’altri siano di più?
E’ che quando finiscono sti concerti te viene da dì Grazie Francesco, che tra poesia e raccontare m’hai parlato della rabbia, dell’amore, dell’amicizia e m’hai fatto vedè che si può essere così semplicemente diversi.Grazie per aver scritto le tue canzoni.Che svettano in alto come falconi.
La canzone è una penna e un foglio
così fragili fra queste dita,
è quel che non è,
è l’erba voglio
ma può essere complessa come la vita.
La canzone è una vaga farfalla
che vola via nell’aria leggera,
una macchia azzurra, una rosa gialla,
un respiro di vento la sera,
una lucciola accesa in un prato,
un sospiro fatto di niente
ma qualche volta se ti ha afferrato
ti rimane per sempre in mente
e la scrive gente quasi normale
ma con l’anima come un bambino
che ogni tanto si mette le ali
e con le parole gioca a rimpiattino.
La canzone è una stella filante
che qualche volta diventa cometa
una meteora di fuoco bruciante
però impalpabile come la seta.
La canzone può aprirti il cuore
con la ragione o col sentimento
fatta di pane, vino, sudore
lunga una vita, lunga un momento.
Si può cantare a voce sguaiata
quando sei in branco, per allegria
o la sussurri appena accennata
se ti circonda la malinconia
e ti ricorda quel canto muto
la donna che ha fatto innamorare
le vite che tu non hai vissuto
e quella che tu vuoi dimenticare.
La canzone è una scatola magica
spesso riempita di cose futili
ma se la intessi d’ironia tragica
ti spazza via i ritornelli inutili;
è un manifesto che puoi riempire
con cose e facce da raccontare
esili vite da rivestire
e storie minime da ripagare
fatta con sette note essenziali
e quattro accordi cuciti in croce
sopra chitarre più che normali
ed una voce che non è voce
ma con carambola lessicale
può essere un prisma di rifrazione
cristallo e pietra filosofale
svettante in aria come un falcone.
Perché può nascere da un male oscuro
che è difficile diagnosticare
fra il passato appesa e il futuro,
lì presente e pronta a scappare
e la canzone diventa un sasso lama, martello, una polveriera
che a volte morde e colpisce basso
e a volte sventola come bandiera.
La urli allora un giorno di rabbia
la getti in faccia a chi non ti piace
un grimaldello che apre ogni gabbia
pronta ad irridere chi canta e tace.
Però alla fine è fatta di fumo
veste la stoffa delle illusioni,
nebbie, ricordi, pena, profumo:
son tutto questo le mie canzoni
3 Comments:
:°°°°°°°°°°°)
se non c'eri non puoi capire,
ma se c'eri non puoi scordare.
sei il solito Poeta
;*
;-D
A.
perchè scordare è impossibile per chi "sente".
perchè tra l'ascoltare e il sentire c'è un muro enorme eretto dall'uomo.
perchè con il tuo meraviglioso sgrammaticare sei riuscito a farmi risentire ancora.
"GRAZIE!" :)
"Venite gente vuota, facciamola finita, voi preti che vendete a tutti un' altra vita;
se c'è, come voi dite, un Dio nell' infinito, guardatevi nel cuore, l' avete già tradito
e voi materialisti, col vostro chiodo fisso, che Dio è morto e l' uomo è solo in questo abisso,
le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali;
tornate a casa nani, levatevi davanti, per la mia rabbia enorme mi servono giganti.
Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!
Io tocco i miei nemici col naso e con la spada,
ma in questa vita oggi non trovo più la strada.
Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo..."
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