Friday, May 09, 2008

Trèkkin Sibillino


1 – EhOh-LèzGò!


E venne finalmente il tempo di partire.

Il ponte del primo maggio arriva come una festa dei lavoratori, come un ponte sullo stretto del quotidiano, come una campata di sole dopo tanta pioggia e troppa allergia, sintomatica e non.

Non si tratta solo di un viaggio, ma di una sospensione da portare appresso passo dopo passo su una mappa, un rientro nel paesaggio, un taglio di luce sulla propria tela, una prova dell'esistenza se non di dio perlomeno delle proprie quattro ossa.

Ci raccordiamo in autogrill ad un orario decente, io, claudia e federico in una macchina, simone, paolo, marina e cristina nell'altra. Scegliamo il percorso alternativo all'autostrada e ci lanciamo sulla consolare salaria, tra saliscendi, curvoni, approcci di prati, Passocorese, la periferia di Terni very autobiografia industriale, le acciaierie coi vetri rotti, la cascata delle marmore, i benzinai paesaggisticamente vincolati,un paio di paesini umbri coi bar che vendono panini norcini sicchè in quattrore, consacrate dall'autoradio a de gregori, si arriva a Visso, già provincia di Macerata, sulla cerniera appenninica tra due dialetti.

Lasciamo le macchine in un parcheggio e verifichiamo la consistenza degli zaini: minimalisti e ravveduti alcuni, espansionisti altri. Claudia ammolla un paio di maglioni e un set matrimoniale di asciugamani, qualcun altro rinuncia alla giacca per le varie ed eventuali metereologiche, in fondo è previsto bel tempo e fa pure caldo, e ciàvviamo verso il City Centre of Visso, distante quasi tre minuti dalla suburbia più remota: che se fa sorridere, si sappia che si tratterà della megalopoli più importante sul nostro cammino.

Divoriamo panini al ciauscolo e porchetta locale presso un alimentari di quelli che meritano le segnalazioni sui gamberi rossi e così facendo legittimano lo strozzinaggio alimentare.

Rapido consulto sul percorso e prontipartenzavia, EhOh-LèzGò!, s'intraprende e si va, a gambe allegre si va, così facendo si va !… e in cinque minuti si torna al punto di partenza, dopo aver attraversato il paese con un percorso a stella concentrico su sé stesso.

Chiediamo lumi ad un Protettore Civile che ci indirizza dietro la chiesa, scommettendo cinquecento euro contro la nostra spedizione, avvertendoci del risveglio delle vipere in atto e insistendo sui percorsi ancora non battuti. Ma vaffanculo, protettò, noi si va lo stesso.

La strada è però davvero interrotta, alcuni operai della pavimentazione stradale minacciano di arruolarci come ausiliari, sicchè si decide di raggiungere Ussita attraverso la statale, sul mero asfalto, costeggiando gli allevamenti in vasca di trote salmonate, qualcuno ci pesca pure... laddove osano le pantofole.Ussita può vantare almeno cinque esercizi commerciali ed un hotel, scusate se è poco.A questo punto, attirati da un cartello escursionale che promette una diramazione di sentiero, ci lanciamo per la prima passeggiata: una salita verticale stroncafiato fino al cimitero locale, dove forse ci sono più anime che in paese. Intravediamo un campo di calcio, affrontiamo perentori un bivio e riscendiamo dopo un'oretta con precisione millimetrata esattamente cento metri più avanti della partenza.

Proseguiamo verso il camping, località Calcara, e fiancheggiamo nientepopòdimeno che un palaghiaccio, che sembra uscito dalla perfieria di Rostock negli anni settanta. Il camping è un accampamento gestito da un assenteista che delega tutto ad un rumeno. Una signora truccatissima, fuori apparentemente sessantenne dentro forse pure ottantenne, s'informa sull'amenità della nostra presenza. Il proprietario fa sapere che ci danno i bungali.

I bungali misurano una dozzina di metri quadrati l'uno, arredati da insetti morti etnici e ruggine di vita vissuta, con l’arbremagìk al gas della caldaia interna. Ci si stipiamo rispettivamente in quattro e tre secondo la logica maschi/femmine. Il bagno misura tre metri quadri, un tubo fa finta di essere una doccia arrampicandosi sul cesso, ma lo sgamiamo subito.

Ammèmmì sale la febbre da semifinale di coppa uefa. Tiro fuori il televisorino e la frittata di cipolle dallo zaino e cerco di sintonizzare il canale, senonchè il rumeno, che prima mi abbraccio fraternamente essendo lui tifoso di Mutu, m'informa tuttavia che La 7 non si prende.

Escurro tutto il paese con Marina, inveisco contro il trogloditismo dilagante e l'anafabetismo della popolazione ferma al 1984 e giocoforza m'arrendo all'evidenza dell'inevidenza della partita, che in fondo aspettavo da soli diciotto anni.
A questo punto, inizia il mio isolamento agonistico dal resto del gruppo, mi simbiotizzo col cellulare, costringo gli avventori del ristorante a fissare per intere mezzore la pagina 220 del televideo in attesa di aggiornamenti, e detto che la cena è all'altezza del posto, stendiamo un velo pietoso e passiamo al giorno dopo.

...Ehm, mi dicono che io e simone abbiamo tenuti svegli tutti per un'oretta accalorandoci sulla politica e urlando dei “perchè alemmanno...” nella notte, finchè non ho iniziato a russare selvaggiamente durante una pausa del discorso.


2 – Casali: Welcome to Uncle Scrooge.

Consumata una frugale colazione fatta di pandorini san carlo, affrontiamo la tratta che da Calcara arriva a Casali. Identifichiamo Calcara con la casa di un rustico che scommette cento euri contro di noi, cerchiamo di sbagliare percorso ma al fine l'azzecchiamo.

Siamo ancora fuori dall'Anello dei Sibillini, la segnaletica latita.

Il percorso parte con un dislivello di cinquecentometri in salita, in un tratto boschivo che costeggia una valle alla nostra sinistra. Faticosamente saliamo, s'apre la vista sugli alberi e sparisce la civiltà, bye bye ci vediamo domenica nel pomeriggio.Passiamo l'ex voto della Madonnella e arriviamo ad un fontanile in quota, alla nostra destra il Montebove, coi suoi denti di roccia e la neve, in cima s'intravedono volteggiare quelle le aquile, che non volano mai a stormi, però a piccoli gruppi si. Il sentiero disegna una specie di V, per cui aggiriamo la valle, incontriamo una sorta di piccolo Mar de Glace di neve e la sorgente di un fiume, che vista da vicino sembra un sasso che butta acqua.Lo spettacolo inizia ad essere intenso, felicemente riscendiamo fino a Casali e arriviamo in un prato dove davanti ad una chiesetta in pietra e ad un panorama di larghe vedute, raggiungiamo il rifugio.

Marina ci informa che il gestore del rifugio di Casali al telefono sembrava un Vecchio della Montagna, che ci teneva a definirci escursionisti, gente che spregia le comodità per scelta dello spirito. Innanzi al rifugio si para un cartello: "Qui' si mangia!” e infatti fame da lupi teniamo, lupi escursionisti.

Facciamo la conoscenza del Vecchio della Motagna, che appare subito per la sua peculiarità d'essere Vecchio Marchiciano della Montagna. Tutto è nettamente sparagnino, ogni opzional si paga a parte, il resto mancia.Concordiamo un piatto di fettuccine col ragù di carne, che per essere le quattro del pomeriggio vanno benissimo, e mentre bolle l'acqua ci avviamo alle stanze.Per salirvi occorre inerpicarsi su una stretta scala di ferro che da su una botola. Uno zaino extralarge non passerebbe. Le stanze sono tre e contigue ma soprattutto sono in una mansarda dal tetto a spiovere, altezza massima uno e ottanta, minima 50 centimetri, in prossimità del cuscino. Le brande spiovono sul tetto di foratini rasente naso, le pareti non hanno mai visto intonaco: that's the loculos, my friends! Le coperte a parte, un euro l'una.

Il bagno porta i segni del padrone di casa, che usa il bidet quale portacenere, mentre il wc costringe a posar seduti. Per fortuna Marina ha portato il lisoform.

Così è se vi pare, pertanto scendiamo verso le fettuccine, famelici. Marina individua nel ragù assortimenti organici che vanno da un polmone ad un fegato, ma siccome nello stomaco si mischia tutto, transustanziamo anche il ragù di carne... alla C.S.I. ; un pecorino locale e una lonza semiartgianale, pesati nelle segrete stanze prima di giungere a tavola, completano l'ingollo.

Sono le cinque, io e Simone decidiamo di andare a vedere il paese. Contiamo 26 tetti, giriamo in lungo e largo e alle cinque e dieci ristiamo nei loculi, esperti del luogo.

Poco da fare e si arriva a cena, con la prescia di sedersi prima delle nove altrimenti il coperto si paga doppio. Nel frattempo scopro che il posto è tutto disseminato di cartelli esplicativi:“nelle ore notturne ogni consumazione costa il doppio”, “i copriwater sono disponibili a 20 centesimi” e “oggi pranzo alla carta MINIMO trenta euro” sottolineato tre volte.

Il Vecchio della Montagna ci appare perciò come Zio Paperone che fa l'avaro di Dickens, ce lo immaginiamo come Uncle Scrooge la notte di natale nella sua solitudine col gruzzoletto in mano...però fa anche un pò pena. Qualcuno nota la totale assenza di tocco femminile nel luogo. E forse un accenno sommesso a “quando c'era lei” che forse non c'è più. Uncle Scrooge sa che tutti si chiedono ma perchè non si fa aiutare da qualcuno e senza richiesta ognitanto accenna al fatto che I turisti sono sporadici, I guadagni pochi e una barista non la può pagare. Uncle Scrooge accoglie, cucina, serve, fa le stanze, risponde al telefono e contemporanemante non lo fa.

Pertanto attendiamo il nostro turno per il menù alla carta, tutto rigorosamente congelato, eppure alla fine la cena mantiene dignità, anche se l'avanzo di cinghiale ordinato da Simone e che Uncle Scrooge porta un attimo a scaldare senò si fredda, non tornerà mai più indietro e finirà – è come vederlo - nel ragù di carne alla C.S.I. per gli avventori del giorno dopo.

La sera passa tra briscole ed entertainment commisurato e il piccolo gusto d'avergli fregato un paio di bicchierini di mirto.

La mattina seguente Uncle Scrooge ha apparecchiato una colazione, poco fresca ma fornita, con tanto di nesquik per gli addicted presenti tra noi. Ci rimprovera per aver lasciato una luce accesa a bordo botola, ci fa un conto totale da mezza piotta a testa (cinquantuno, per la precisione, che non si butta via gnente) e ci congediamo, non prima d'aver assistito al numero del latte avanzato, ritirato, rimboccato e riportato al tavolo accanto.


3 – Tempi Cupi, Bei Tempi


Oggi ci aspetta l'Anello dei Sibillini, dove a metà percorso ci immeteremo.

Cominiciamo subito con un triplice bivio, dal quale ne usciamo convinti d'aver preso una scorciatoia boscosa. Dopo mezzòra, il sentiero finisce in sterpi. Federico avanscopre di qualche metro senza zaino e realizza che affrontando un pendio brecciolinato di venti metri si arriva su una carrabile. Non è facile. Carico lo zaino di Claudia e vado. Mostruoso. Gli ultimi passi li faccio ventre a terra con Federico che scende a recuperani uno degli zaini. Quando arrivo sotto i piedi ho una morsa pressata che più non sò spiegar. Gli altri per un'altra strada, appendendosi agli alberi raggiungono la cima. Breve ma intenso fuori programma.

Da qui in poi, è tutto Anello. Arriviano in un prato d'altopiano per l'ora di pranzo.

Intorno solo montagne. E naufragar m'è dolce in questo mar. Si allargano i pensieri, la testa si area prima di soggiornarvi, spariscono le minuzie, le invadenze, le superfluità, le distrazioni, le preoccupazioni e intorno è solo montagna e un diverso concetto d'umanità.

Riprendiamo verso Cupi, zompando tra panorami e immettendoci nel parco, superando alri fontanili ed esercitano I trentadue muscoli del sorriso. Le macchine a Visso distano due giorni a piedi.

Cupi dall'alto sembra carina, minima ma moralia.

Il rifugio è una folgorazione, comparando con i loculi di provenienza ultima. Gestito da tre ragazze, esibisce mura in pietra, interni in legno, pulizia, colori e ben quattro box docce in ambiente pulito. Ci sono persino le riviste sul tavolino.

Rinfrancati come pellegrini accuditi,ci riumanizziamo e esploriamo Cupi, che per la verità a parte un museo della pastorizia chiuso, una chiesetta, un monumento ai sette caduti nella prima guerra mondiale (nessun paese d'italia ne fu risparmiato) e un bar chiuso con ancora i cartelloni dei gelati aventi i prezzi in lire, non ha più nulla. Un feroce cane pastore sancisce il confine estremo del paese, dopo è solo pastorizia caprina.

Come pensionati di paese ci diamo alle carte e nel mentre assagiamo delle fantastiche bruschette fatte con olio sopraffino e tanto amore. La cena promette bene e infatti mantiene meglio. Stringozzi, fettuccine, gnocchi, ariste all'arancia, scaloppe in salsa di vino e ginepro, pecora selvatica, ricotta al cacao e al Varnelli (un anice locale, sponsor del depliantismo diffuso), caffè e ammazzacaffè: promesse mantenute e applauso alla cuoca. Coccolati e sonnolenti poniamo fine al sabato sera.La colazione mattutina è un altro trionfo di ricotte fresche, marmellate artigianali al ribes e pane bruscato.Gioiosi arrotondiamo il conto e proseguiamo. La differenza di trattamenti affonda forse le radici nella tutela del percorso dell'Anello fortemente sponsorizzato dalla Regione Marche, che deve aver appaltato e finanziato i rifugi rientranti nelle nove tappe, imponendo standard di qualità turistofili.


4 – L'Anello dei Sibillini


L'ultimo gorno riserva la tappa più lunga e forse più bella.Con un tratto di statle giungiamo al Santuario della Madonna di Macereto, laddove si narra che due asini si piantarono irremovibili in seguito ad una visione mistica. Un battistero pandoroidale circondato da portici e un'aria di pasquetta nel prato definiscono il luogo.

Mi folgora un dejavù insospettabile: ci sono già stato in un'altra vita, ricordo vagamente che c'era una sposa sotto la pioggia e che il tempo effettivamente stava per cambiare. Mi ero chiesto in qualche sbalzo di ricordo che posto fosse quello. A volte tutto torna, oggi c'è il sole, si continua a camminar dinnanzi.

Il proseguio è un tratto stupendo di Anello.

Superiamo degli equini di montagna e caracolliamo per colline in fiore, distese di giallo e verde brillante, alberi trionfanti di clorofilla, paesaggi a perdita d'occhio e infatti ci perdiamo gli occhi a impressionarci le retine. Due ore di cammino in cui mangiare una mela diventa un atto d'amore verso sè stessi. Non c'è salita che dolga.

Quando vedete la pubblicità di una benzina che marketizza sé stessa associandosi all’immagine di un ambiente da brochure, non credeteci. Quella è benzina, il panorama è un’altra cosa che riguarda l'esperienza diretta e non passa per il serbatoio.

Resta solo il tempo per l'ultima sosta, un'improvvisata attrazione entomologa per la tana d'un insetto e il dubbio che si trattasse di un nido di calabroni.

Tentiamo di disperderci sull'ultimo spezzone, io e Simone ci addentriamo per un sentiero gli altri pe r l'alternativa al bivio. Risbucheremo a Visso esattamente laddove il giorno della partenza il Protettore Civile ci aveva detto di andare. Se ci fosse stato avremmo potuto chiedergli cinquecento euro per la scommessa persa, ma in ogni caso la nostra scommessa è vinta, il trekking ha avuto l'esito desiderato e ripartiamo felici.

Camminare fa bene.

In un bel gruppo ancora meglio, ricordavo bene.

Affanculo la civiltà.

Grazie Ragazzi.

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Colonna Sonora


Generalmente chiudo i blogghi con un testo, per la prima volta invece metto un elenco.
Ovvero i pezzi che in cuffia fuori cuffia o mentalmente hanno circondato il viaggio


De Gregori – Generale Live
Smiths – Half a person
Zucchero - Sere d’estate
Claudio Lolli – Autobiografia Industriale
Michele Pecora – Era lei
Michele Pecora ed Ivan Graziani - Fuoco sulla collina
Pino daniele - Na jurnata e sole
24 Grana - Stai mai ccà
Sergio Caputo - Ma che amico sei
Kraftwerk - Autobhan
Edoardo Bennato - Venderò
Vasco Rossi - Portatemi dio
Bob Dylan - Hurricane
Dàra straits tunnel of love
Tricarico - Vita tranquilla
Vasco Rossi – Generale
Mi parcheggio qua pure i linki dei videi col flusso sonorizzato della foto :)