Wednesday, September 01, 2010

SanTurkini






Santorini aspett’a’tè.


Fa caldo come quando fuori c’è sole, quel sole cattivo delle città che conglomera i bitumi riscaldati in una macchia ardente e sfiamma il cotone degli abiti mai troppo leggeri, intimando d’andar via, a filo di vento via, verso ciò che resta del giorno d’estate, via. Il 29 luglio pertanto, prendiamo la corrente estiva dell’Est e voliamo a Santorini, due ore di pensieri finalmente ecosostenibili in alta quota e un atterraggio a planare, a cento metri dal Mare Egeo, nel cuore antico delle Cicladi.


Santorini ci sono già stato, nell’anno di grazia adolescenziale 1989 e nell’anno di gioventù oramai bruciata 1993. Santorini è per me l’isola del primo fior di conio della moneta sensibile greca, il benvenuto d’immagine e il resto della memoria nel luogo della mente dove s’olografano i ricordi.


Il primo tratto di modernità odierna consiste proprio nell’arrivarci via cielo, in due ore piuttosto che due giorni, al netto di traversate multimodali, rugginose&salmastre, via Brindisi, Patrasso e Atene, God Save the Low Cost.

Il secondo tratto di novità lo scopro all’aeroporto, quando contratto il mio alloggio locale. Come da anticipazione sui siti web di booking on line, non vi sono più affittacamere arrembanti e diffusi, vecchietti col mulo alla capezza che in un quanto basta di english ti piazzano una stanza senz’acqua calda ma con tanto folk, bensì un ragazzo più o meno quarantenne che mi illustra il suo confortevole Hotel e che per 50 € di stanza doppia garantisce pulizia, colazione e perfino piscina.


Alloggiamo a Karterados, villaggio al centro esatto dell’isola, quattro vie di case sparse e trattorie, ottimo baricentro per l’esplorazione dei versanti cardinali tutti a dieci minuti a piedi dalla capitale Thira (o Firà che scriver si voglia).


Ed è proprio a Thira che andiamo incontro al primo chiarore della sera, laddove la città s’intaglia a picco sulla caldera, la bocca di vulcano che dà all’isola la reminiscenza d’Atlantide, e là ritrovo le stradine pavimentate a sassi, la gloria egea delle cupole azzurre infilate nel cappello delle chiese, finestre trifore e croci di ferro, il bianco affresco delle case e un mondo di passi, pantaloncini e vestiti vacanzieri affluenti ai vicoli e confluenti sotto gli archi, desiderati da una folla di merci in special prize, di ristoranti specialità panorama, mentre intorno è strapiombo, infinito blu della sera e del mare, odore di gyros pita.

Thira è cresciuta, è diventata grande ventànni dopo, elettricizza sui fianchi collinari uno skyline misurabile in kilofilari di kilowatt, batte cassa di risonanza nei locali, rende tutti più giovani e più affamati del dovuto. Ma è luglio e l’angolo di sezione aurea non è ancora ottuso, guarda negli occhi chi ha buona mira per vedere, ricorda i ricordi col colore che avevano, splende di luce abbacinante di giorno e di sera apre il guardo sull’infinito di tanta parte dell’ultimo orizzonte.


Di che t’Imerovigli?


Dal secondo giorno in poi arrotondiamo i chilometri quadrati isolani in sella al motorbike a buon mercato di Karterados, 15 € full day e full wings sott’ai piedi, per strade che portano al sole e non farei fermate neanche per il mare, tanto ci prendo gusto.


Ci geolocalizziamo innanzitutto ad Imerovigli, così da dare un seguito alla visione serotina di Thira con la pienezza espressiva del mezzogiorno cicladico. Imerovigli, dieci minuti a Nord di Thira, ne segue i fianchi e fa da attico buono alla caldera. Sopravissuta indenne all’espansione del commercio al dettaglio degli anni ’90, ad Imerovigli non si trovano file sequenziali di rappresentazioni merceologiche ma vicoli pavimentati e puliti, candidi incroci sbilenchi, balconcini intonacati e ripiderie a scale, infusioni di bouganville fiorenti nell’aria e alle finestre, improvvise porte pittate di blu e prive di cubatura retrostante, spalancate sull’uscio dell’infinito, in uno scambio di benvenuto con l’azzurro del cielo. Il sole sembra sentirsi come a casa sua.

Una chiesetta mette a disposizione di miscredenti e ortodossi il proprio davanzale d’alta quota, lasciando il dubbio che se un dio ci sia, è più facile che stia nell’infinito sfondo antistante che nel piccolo sacrario interno.

La riforma contemporanea del turismo ad Imerovigli è nata sulla Reconquista delle vecchie case dei pescatori che venivano fittate a cottimo ai backpapers routardi, imponendo enclosures su ogni affaccio di panorama, convertendo ogni terrazza e finestra in moderni studios&resorts, luminosi hotel pluristellati e international spa, limpide piscine in forma di rosa ed ecocompatibili con un infinito a portata di cocktail, jacuzzi lightening en plen-air, magic honeymoon e sunset boulevard, a beneficio&godimento dell’Elite New Age, very up-to-date, dal portafoglio facile&sorridente.


Pochi metri ortogonali e si ripidiscende a Firostefani, mediana via tra il tuttidentro di Thira e l’esclusività di Imerovigli. Anche qui l’affaccio è cosmicamente sbilanciato sul vulcano, un precipizio bluvertigo sulla parete rosso lavica sfocata, senza possibilità di spiagge se non in barca. A Firostefani torneremo due volte per cena, avendo trovato la Taverna Simo’s, filantropica oasi dai tavoli di legno e con pergolato spiovente&fitto, a testimonianza delle brillanti possibilità di fotosintesi del ficus benjamin, specialità culinarie ‘tutto’, ed in particolare Taramosalada fresca (insalata di uova di pesce), Melinzanosalada agrorustica, Moussaka nel coccio, calamaro alla griglia – che è la morte sua e pure un po’ mia - , pomodori fritti di quest’isola fortunatamente esposta alla alla verdura, crema di fave di Santorini ( un fiftyfitfty di lupini&lenticchia), ottimo bifteki d’aroma cortese e genuino, prezzi user friendly sui 30 € per due persone, perché se l’occhio ha avuto la sua parte, la corrispondenza di amorosi sensi arriva anche per il palato.


Lo slancio in sella continua e approdiamo alla prima spiaggia, sul versante orientale dell’isola, la blanda e riparata Monolitos, familiarmente contigua a Karterados, semplice e profonda, immediatamente sfatando il mito dell’acqua gelida. 5 € d’ombrellone e due sdraio, i libri ce li metto io: è proprio qui che Alex, l’eroe, il nonno e Sammy Davis Junior Junior iniziano il loro on the road noto come “Ogni cosa è illuminata” e idealmente ambiento a Santorini l’Ucraina. Il libro non mi piace, troppo ironia, poi mi piace tantissimo per la scrittura complessa, poi mi fa ridere, poi cambia registro, non c’è niente da ridere, i toni son tragici e le mie convinzioni sui nazisti in ucraina ne escono rafforzate, insieme al giudizio sull’ottima lettura e alla precognizione che Jonathan Safran Foer è predestinato ad un Nobel.

Attraverso i saliscendi stradali e sotto al caldo che prende di mira questi kilometri riemersi nell’egeo che sembra oceano, ci addentriamo per i villaggi interni. A sud di Thira c’è l’antico capoluogo isolano, Phyrgos, sopravissuta ai terremoti che puntellano i secoli di Santorini. Phyrgos è un secolare avamposto al turcomanno, che scansa il mare per la campagna e si verticalizza in salite tortuose per vicoli lattei&petrosi, invecchiati senza trucchi e senza inganni, fino ad aprirsi sulle rovine di una fortificazione medioevale dove si può salire per tetti e gradoni, tra vecchietti coi somari, bouganville di rosa vestite, fichi d’india, cactus e fiori d’acacia, gatti impigriti, oleandri e piante aromatiche.

A qualche tornante di distanza, c’è il Monastero del Profeta Elia, piccolo chiostro, secolare custode di visioni profetiche arroventate e giardino annesso.


Le strade dell’entroterra costeggiano viti nane da malvasia e capperi mediterranei, come nei pressi di Messaria, piccolo paesino che ospita un monastero screziato d’ocra e di nero, distinto nel circondario delle cupole blu. All’ingresso del paese, una porta solitaria da il benvenuto al giardino di un bell’edificio abbandonato, forse una scuola, forse una villa, di certo il segnale del disinteresse turistico extracostiero.


E poi si arriva sulle spiagge più belle. Tra tutte, storica nei miei ricordi e nell’attualità contemporanea, la Red Beach. Chi l’ha detto che a Santorini non si viene per il mare? Esposta ai venti del versante sud-occidentale, la Red Beach si raggiunge solo a piedi e appare come una tagliata di promontorio dietro l’angolo in quota di un tornante, scintillante di blu trasparente, nella sua baia costonata di roccia lavica donata dal vulcano. E’ questo il colore miracoloso del Mare Egeo: non il biancoceleste caraibico, né l’azzurro eclettico di Sardegna o il verde pineta degli arcipelagi adriatici, ma un blu oceanico che si sfoglia limpido a vista, come fosse bianco ottico. La densità dei bagnanti aumenta, ma senza nulla togliere al piacere di esserci e diventare pesci nell’acqua tonica.


Passando il tempo, il Babis Hotel si rivela un’ottima scelta, s’avverte una tradizione d’ospitalità per l’ambiente domestico, per le colazioni di yogurt al miele, per la cordialità dei gestori , per la pulizia e per la piscina, che non sarà necessaria ma se c’è fa buon tuffo.


A Karterados scopriamo la trattoria Tò Skaramanka, anch’essa laureata ad honorem in greco classico, laddove sempre con una trentina di € e sotto un tetto di ficus in atmosfera sirtaki, entriamo in sintonia tra l’altro con una fresca grigliata di spigole, pannocchie, calamari, marmore e pescheria dicendo. Apprezzate con genuino piacere anche le olive kalamata e la filologica insalata greca.


Altra spiaggia beneficiata dalla geologia vulcanica è Vlikhada, situata sempre sul versante sud. Qui la roccia ha giocato a travestirsi da luna, incoronando la spiaggia di una morfologia che sembra progettata da Gaudì per i tetti della Pedrera e cantata dai Police in Walking on the moon. Il flusso turistico è clemente e il mare traspare per quel che bagna.


Ma la spiaggia dei desideri dei miei pensieri che a ripensarci van, è quella di Kamari. Sita a sudest dell’isola, non troppo distante dall’aeroporto, s’estende per qualche chilometro e si chiude nel suo tratto migliore sotto al promontorio dove risiede l’antica Thira. Anche qui con 7 € d’investimento giornaliero ci si può accaparrare sdraio e ombrellone e malgrado le perplessità iniziali sulla visibile presenza antropica, si rivela placida come una biblioteca felicemente affacciata su un mare di blù dipinto di blù. Kamari è anche il nome del paesino che corre lungo la spiaggia, un chilometro di internet bar e souvenir, di trattorie cheap e piccoli resort, promesse d’aperitivo e spuntini a tutte l’ore, ed in effetti vi si trovano degli ottimi Giros Pita (piccoli kebab ellenici) per fermare gli appetiti all’ora di pranzo. Probabilmente ci si starebbe bene per una vacanza di relax fuori dal mese d’agosto, anche se rimane il sospetto di una seconda vita notturna a suon di decibel (fermo restando il beneficio di chi la cerca, s’intende).


Kamari, sotto l’ombrellone di paglia son disteso a leggere e purifico la mente, sfrondo i pensieri del superfluo indotto, rintraccio le mie linee originali di pensiero, lascio che gli occhi guardino il mondo e i neuroni ragionino con la loro testa, che sarebbe la mia, tutto si può apprendere e tutto si può pensare, mentre il mare di Kamari si sbarbaglia paglierino di riflessi aurei irripetibili. Se Kant fosse stato qui si sarebbe fatto un bagno di blu, accantonando per un momento la cosa in sé e magari non avrebbe avuto nostalgia di Konigsberg.


“The sun machine is going down and we’re going to have a party” (David Bowie)


Al primo soffio serale del vento Meltemi sull’isola, s’abbrivia il più famoso rito mainstream: il tramonto cicladico. L’ultimo spettacolo eternamente quotidiano dell’affondo in mare del sole, abbracciato dal colonnato sanpietrico d’arte vulcanica, evento sacrosanto&profano che da quando esiste l’arte di tramandare il turismo pittura le cartoline e richiama l’occhio meravigliabile degli spettatori.

Una migrazione verso nord di pulman e motorini, auto e pellegrini, barchette a vela e pescherecci che partono ogni sera verso il gran teatro del mare del paesino di Oìa, punta nord dell’isola e luogo eletto dei tramontofili della prima e dell’ultima ora. Il paesino è fresco di nuovo e caldo d’antico, presenta una cordialità da boutique ed è visibilmente raffinato nei suoi ristorantini da gourmè, overbudget d’autore per gli ottimati delle vacanze.

L’orientamento ad ovest del tramonto coincide con l’orientamento occidentale del mercato che vi è nato intorno. Come su carta millimetrata, ogni punto d’affaccio sul mare è un ritaglio frattale convertito in posto a sedere e posto in piedi. In fronte al panorama, laddove c’erano il compare greco col nescafè o l’uozo adesso c’è un cocktail bar, modernamente lounge e glamourosamente fashion, e così mentre il sole muore, nascono compilation soft per un requiem very chill òut. L’intera balconata, vista da lontano si presenta come un formicolio di teste border-line sulla caldera.


Lo spettacolo è suggestivo quanto promesso, un po’ prevedibile nell’affondo finale e come nei film di successo al cinema o negli atteraggi italiani, il momento della scomparsa del testarossa dietro una nuvola di mare viene sottolineato da un applauso del pubblico pagante e non.

Lo spettacolo, va detto, è comunque altrettanto bello anche nelle sale di Firostefani e Thira o di Imerovigli (e forse qui, anche di più, distendendosi i colori più a ridosso della caldera).




L’occhio del Partenone


Salutata Santorini senza promesse da marinaio, ci fermiamo qualche ora ad Atene, quanto basta per una visione notturna del Partenone da lontano e un’immersione mattiniera nel Partenone da vicino.

La presa di contatto con Atene per quanto rapida, collauda la presenza di economici servizi navetta notturni dall’aeroporto e una metropolitana efficiente, retaggi delle olimpiadi di qualche anno fa.

Forse attenuata la cappa di smog soprastante, lo Skyline cementizio invece resta identico in quantità ed invecchia in qualità, lasciando preferire le periferie del socialismo reale quali modello di sviluppo urbano e di verde pubblico. Atene capitale europea dell’Heavy Metal interiore.

Verificato che i marmittones del cambio della guardia sono ancora lì, rigorosamente disciplinati e con le loro calzature col ponpon, mentre il sole non ha pietà e manifesta per la pace sopra le loro teste, affrontiamo la santa fatica che occorre per scalare l’Acropoli ed arrivare al punto dopo la curva, dove i propilei s’aprono improvvisamente alla vista, il tempio di Atena Nika testimonia vittorie e ad ovest si staglia il Partenone di Fidia, orientato per dar luce astrale al rapporto aureo della bellezza universale. Sopravissuta alle battaglie di turchi e veneziani, alla rapacità maledetta di Lord Elgin e nonostante l’ardenza rovente in the sky e i cumuli gentiformi riversati dalle soste delle costecrociere, l’Acropoli persiste, con una pazienza da cariatide, nel testimoniare che l’origine della civiltà era proprio qui, mentre intorno, tutto intorno, mondialmente intorno, era tutta campagna.


(to be continued...)