Wednesday, November 28, 2007

Come prodotto, non sono riuscito un granché



Buonasera,
sono qui per quel colloquio.
Come Le ho accennato per le vie brevi, ho fatto un sogno dove c’era mia sorella che mi avvertiva di leggere la posta perché c’era un’offerta di lavoro importantissima per me.
Io l’ho letta la posta, ma c’era solo l’avviso di ricezione di un messaggio su MySpace.

Ho ritenuto pertanto opportuno presentarmi qui alla Futuro S.p.A. di mia sponte, perché se stavo ad aspettà a voi non affittavo più.

Vi parlo un po’ di Me.

Vaccinazioni regolari e nessun problema d’inserimento scolastico, anzi a dir delle maestre ero talentuoso e portato per le migliori prospettive sociali.

Ho sempre mangiato le verdure regolarmente.
Fanno bene, lo so.
A tal proposito ho perfino superato le idiosincrasie per il prezzemolo e per la cicoria.
Non mangio la bieta ma se fosse necessario, mi rendo disponibile.
Apprezzo particolarmente i carciofi, gli asparagi e le puntarelle.

Nessun problema con la frutta, anche se preferisco quella che si sbuccia facilmente, come i mandarini.

Si, bevo molta acqua.
Bisogna bere tanto.
La mattina quando mi sveglio, un bicchiere d’acqua è la prima cosa che faccio.
E’ una buona abitudine.

So che le Sacre Scritture non vietano espressamente i fritti, ciononostante, temendo che il diavolo s’infili nei grassi saturi e s’annidi nel fegato, ne faccio poco uso.

Il Vino? No, solo degustazioni che esaltano la raffinatezza culturale di questo prodotto così pregno di importanti significanti&significati. Leggo sempre l’etichetta.

Vi assicuro che non vomiterò mai nel portone d’entrata. Se pure fosse successo molte lune fa, eh cosa vuole, sono errori di gioventù, oggi però sappiamo filtrare il Dionisiaco alla luce delle responsabilità proprie di un adulto vettorialmente disposto al System Integration.

Abilità lavorative?
Gestisco carte. Scrivo lettere. Archivio.
No, non trovo soldi a fondo perduto per aprire librerie o erboristerie.

Come, è un po’ poco?
Come prodotto non sono riuscito un grnachè...

Ma allora perché tutta questa esaltazione per il Mercato se poi non colloca nessuno?
Ah, la contingenza del petrolio!!!
Me l’ero scordata.
Senta ma… quella storia che facendo l’università avremmo sviluppato attitudini? Come dice? Era una balla per parcheggiare i futuri precari facendoli ricascare più a lungo possibile sulle proprie famiglie?

Si, l’ascolto.Sono contento che abbia una proposta da farmi.

Eh? Non ci stavo pensando…
Cioè Lei si comprerebbe la casa dei miei genitori perché crede nelle mie possibilità di attivare un business tipo esportazione di mozzarella di bufala in Cina? e mi vuole finanziare ma Le servono i miei soldi? Ah, quindi l’offerta è bassina perché Lei fa quel che può… certo, assume dei rischi, lo so , eh ci vuole coraggio, ma la fortuna aiuta gli audaci, no?
Capisco, ho solo un giorno per pensarci, perché ci sono altri interessati a questa valida offerta.
No, non ho potere di firma sull’immobile.
Si certo che permetto, Lei ha da fare, ha altri appuntamenti.

Ok, dai
Ci faremo sapere.

Autobiogrfia Industriale
( Il miglior Claudio Lolli)
Il primo giorno, che ho messo un piede alla EMI,
mi hanno guardato, sembravano tutti un po' scemi.
Qualcuno diceva, che ero il garzone del bar,
che aveva lasciato il caffé sulle scale,
qualcuno diceva, che non ero normale,
qualcuno rideva, rideva ...
Il direttore, una strana espressione sul viso,
fece una smorfia che oggi voglio chiamare sorriso,
e mi introdusse nel suo studio di uomo arrivato,
mi parlò di arcipelago o gulag, e mi disse:
"Io penso, che oggi sia molto giusto assentire al dissenso, al dissenso...".
Autobiografia industriale,
viva l'amore con l'industria culturale,
amore erotico e soddisfacente,
ma in definitiva, un po' troppo esauriente.
L'arrangiatore, dopo avermi ascoltato un pochino,
disse "non male, è simpatico quel valzerino,
io ci vedrei, sopra un primo e un secondo violino
e una viola che piange da sola,
perché no, una pianola,
qualche cosa che prenda
e che stringa alla gola, alla gola".
Il tecnico audio, mi squadrò con un ghigno feroce,
ma il peggio è stato quando ho fatto sentire la voce,
così piena di ragni di granchi di rane,
e altre cose un po' strane,
una voce da regno dei più,
o da festival del sottosuolo,
una voce oltretutto che mi accompagnavo da solo.
Autobiografia industriale,
viva le tette dell'industria culturale,
tette opulente e dissetanti, ma in definitiva un po' troppo pesanti.
Io a quel tempo, stavo ancora aspettando Godot,
cioé aspettavo la morte per poter dire "rinascerò",
fatto diverso, collegato d'amore alle masse,
più cultura, più lotta di classe,
ma Godot non è mai arrivato,
si fa le cose sue, ed è meglio così,
certo per tutti e due.
Come prodotto, non sono riuscito un granché,
vendono certo, molto più Jagermeister di me,
ma lo confesso, questo in fondo è un piacere da poco,
e non prova che sono diverso, seriamente diverso,
come amaro il tuo calice vita,
com'è amaro il tuo gioco.
Autobiografia industriale,
cioè come il latte dell'industria culturale,
un latte amaro, molto indigesto,
ma soprattutto un po' troppo caro.
La confezione, con il marchio di verginità,
l'hanno affidata a un fotografo di qualità,
che in verità, al vedermi rimase perplesso,
con quella faccia da fesso
potrei fotografarlo, solamente in un cesso,
magari con un po' di velluto rosso.
Il primo giorno che ho messo un piede alla EMI,
mi hanno guardato, sembravano tutti un po' scemi,
ma oggi ho capito
che di tutti il più scemo ero io,
l'unico che si prendeva sul serio e restava anche male,
un incrocio terribile insomma,
tra un coglione ed un criminale.
Autobiografia industriale,
come inserirsi nell'industria culturale,
cioé come possono gli intellettuali,
dare una mano,
per mantenere gli stessi rapporti sociali

Monday, November 26, 2007

non può esistere un'isola che non c'è


Lasciando marinare i telescopi hubblebubble puntati verso le stars, hanno appena scoperto l’esistenza di una galassia tuttanera&buia, come il fondo del fondo della notte più scura, dove gli addetti alla lettura della fisica delle oscurità hanno visto annidarsi futuri paralleli, maculari come fondi di caffè .
Soffermiamoci qui, senza penetrar nelle teorie dei buchi neri, dei quanti – hai detto quanti? facciamo cento. So centoventi, che faccio lascio? Lasci, lasci -.

Il fatto è che nell’ universo parallelo così pescato in comodato d'uso,
io sto in Polinesia, grazie al biglietto di qualchecazzo vincente, che tengo dint’e’ ppockets.

A questo punto:
Perché non dovremmo non dirci polinesiani ?

ControPolinesia:
Secondo me ti stufi.
Cheffài stai là tutto il giorno senza fare niente?
Ti crogioli? Ti titilli? T’abbruti(sci) ?

Pro Polinesia:
Si, sto là tutto il giorno senza fare una ceppa.
Vado al mare, faccio i meglio bagni cristallini, se proprio devo fare moto faccio i giri sottocosta con la barchetta peschereccia e col vento buono e l’avambracci marroncini&odorosi di mare, do due botte di remi ed entro nella grotta azzurra dell’atollo, laddove con audace fortuna ti scovo il Bue Marino e la Foca Monaca.
Se ho fame, scuoto la palma raccolgo il dattero e me lo mangio, nudo&crudo.

Se mi stufo del mare vado su internet, come faccio qui. Ci sarà l’Adsl in Polinesia o no?
Mi scarico la bibliografia completa di Proust (che a leggere Proust sei sempre inoppugnabile) e me la leggo sotto l’ombrellone.
Potrei anche fare degli studi sui coralli, imparare un paio di classificazioni di base, entusiasmarmi per alcune forme peculiari sfoderate dalla vanità di madre natura e poi andare a pranzo a deframmentar mazzancolle denton dentoni, con ancora la luce negli occhi per quei cazzo de coralli, dicendo "òh a natura davèro certe volte eh - m’è rimasto un pezzo di scampo in un dente -".

Se mi rompo le palle in Polinesia figuriamoci a lavorà otto ore al giorno tutti i giorni fer(i)ali in un
ufficio della periferia industriale di quest’occidente a fondo perduto.
M’abbrutisco? Sarei bello te, con quell’abbronzatura da riflesso microsoft.
I go splash. In the water. In the Sun.
Un cocktail di frutta per cappello.
Come Carmen Miranda &Gauguin

ControPolinesia:
e tutti i parenti? E gli amici?

Pro Polinesia:
Ahò e se ho vinto la lotteria, ce l’avrò i soldi per tornare quattro volte l’anno, no?
Ai parenti potrei anche pagargli qualche biglietto, con la rendita in banca.
E gli amici…Q uante volte li devo vedè st’amici? Diciamoci la verità, già oggi non se beccamo mai, mò posso rinunciare alla Polinesia per andare un paio di volte al cinema o a qualche cena comandata?
“Ciao amico, sono tornato dalla Polinesia per vederti, amico, andiamo a mangiare una pizza? Le cose semplici di una volta. Oh, ma ti ricordi quando abbiamo fatto l’alba che tu ti si mangiato sei cornetti colla nutella e poi a me mi piaceva quella e te stavi fattissimo e poi è successo quel casino incredibile che s’è affacciato quello che voleva bucà er pallone e poi è arrivata pure la polizia, ce volevano fa a’ multa, amico che ricordi, dai il bicchiere della staffa, ok vabbè ciao torno in Polinesia, baci ai pupi e salutam’a sòreta.”

ControPolinesia:
E allora il radicamento profondo nella tua civiltà, l’humus spiritualizzato&pregnante, il substrato psicanalitico d’appartenenza alla Supermercaterìa Italia, l’Heimat interiore? Il mediterraneo dove lo lasci?
E poi lo sai che prima di andare all’estero devi vedere tutte le bellezze che abbiamo qui in Italia, perché a volte si fanno migliaglia di km e poi le cose più belle stanno a Bagno di Tivoli? O a Grugnasco Scalo?

ProPolinesia:
Mi porterò tutto dentro. Forse alcune notti sognerò casa mia e i giorni che furono o forse verrò sorpreso dal blues in veranda sul far della sera, quando al tramonto si ficcano nel sole quelle sfilacciate d' arancione e quei drappi rosa che s’appuntano sul celeste basso della volta e profittando di questa nostalgia di matite e pastelli, la marea porterà a riva i ricordi e allora dovrò farmi un cicchetto e mettere su qualche vecchia canzone di De Gregori o Dalla, mentre intorno è gia tutto un ulular di coyotes.
Penserò a quando da giovane non credevo alla cervicale, ai sedili posteriori sull’autostrada, alle pietre antiche della mia città, madonna come cascano a pezzi.
Penserò anche a Viale Marconi e alla Nettunense.
Mi toccherà metabolizzare questa malinconia, ma penso che ce la farò.
Ho sufficiente background de cantautori per appoggiarvi tutto.

ControPolinesia:
Ti mancheranno il calcio e la pasta, cazzo.

ProPolinesia:
Ma tu pensa questo:
Farò le sforbiciate sulla spiaggia. Le partitelle coi polinesiani, due contro due e uno in porta. In pieno giorno, dopo giocheremo a racchettoni. Sarà bellissimo lo stesso. Pure senza "du spaghi".

ControPolinesia:
Potresti almeno avviare un import/export di mozzarella di bufala …

ProPolinesia:
Secondo me s’ambienta meglio la vacca. La bufala è troppo settoriale. La bufala in Polinesia non s’ambienterebbe. Gli mancherebbero i suoi pascoli.

E a pensarci che pazzia.
E’ una favola
È pura fantasia.

Seconda stella a destra
questo è il cammino,
e poi dritto fino al mattino
poi la strada la trovi da te,
porta all'isola che non c'è.
Forse questo ti sembrerà un strano,
ma la ragione ti ha un po' preso la mano.
Ed ora sei quasi convinto che
non può esistere un'isola che non c'è.
E a pensarci, che pazzia,
è una favola, è solo fantasia
e chi è saggio, chi è maturo lo sa:
non può esistere nella realtà!
Son d'accordo con voi,
non esiste una terra
dove non ci son santi né eroi
e se non ci son ladri,
e se non c'è mai la guerra,
forse è proprio l'isola che non c'è...
che non c'è.
E non è un'invenzione
e neanche un gioco di parole
se ci credi ti basta perché
poi la strada la trovi da te.
Son d'accordo con voi,
niente ladri e gendarmi,
ma che razza di isola è?
Niente odio e violenza,
né soldati, né armi,
forse è proprio l'isola che non c'è...
che non c'è.
Seconda stella a destra
questo è il cammino,
e poi dritto fino al mattino
non ti puoi sbagliare perché
quella è l'isola che non c'è!
E ti prendono in giro
se continui a cercarla,
ma non darti per vinto perché
chi ci ha già rinunciato
e ti ride alle spalle
forse è ancora più pazzo di te!

Wednesday, November 21, 2007

ma di draghi baby non ce ne sono più


(quanto segue saccheggia per mia stessa ammissione la metrica e la dentatura emotiva di una canzone che da qualche tempo si è impadronita delle frequenze sonore on my mind)

Ci sono stati anni che in fondo sembrano pochi giorni
perché quello che resta in mente sono un pugno di memorie
e tutto quanto il resto
non te lo ricordi più
Sono passate facce che ridevano in mezzo all’estate,
tutti quanti in costume, con delle voglie nascoste
e i capelli bagnati
però dove siano finiti tutti
nemmeno te lo chiedi più
Ho avuto fratelli di notte, amici nell’alba,
sorsate profonde, una canzone da sfondo
e la brace che ardeva a soffi d’incendio rossi
che poi scrollavano giù
Mi ricordo indirizzi lontani, bar aperti alle quattro,
giornali neri di stampa
con notizie importanti che oggi a nessuno,
ma dico proprio a nessuno,
importano più
E le mie braccia in contropelo
sul filo di rame
dei brividi che camminando
mi facevano su&giù

Se tutte le strade del mondo finissero in piazza,
in un colonnato di san pietro che ti abbraccia stretto,
ti dice eccomi,
pecorella che ti eri distratta,
ora ti comprendo e non ti lascio più

Se tornassimo sui nostri passi
ma quei passi li hanno camminati altri,
hanno asfaltato tutto
e non c’è nemmeno un chiosco per comprare le sigarette
che tanto poi oggi
neanche fumo più
Se domani alla porta bussasse mio figlio
e gli direi da quanto tempo ti stavo aspettando,
forse erano già trent’anni
ma diamoci pure del tu…

Se ci guardassimo negli occhi e li trovassimo sempre grandi,
magari un po’ cantanti,
senza bisogno di diamanti
perché diamanti da scavare nella roccia
non ce ne servon più

Anch’io ho voglia di parlare,
di fare tardi la notte
prendere freddo e bestemmiare
per poi svegliarmi intontito
e dire
non lo faccio più

Ah...Felicità,
su quale treno della notte viaggerai...

(Felicità – Lucio Dalla )

Se tutte le stelle del mondo ad un certo momento venissero giù
Da tutta una serie di astri, di polvere bianca scaricata
dal cielo
Il cielo senza i suoi occhi non brillerebbe più
Se tutta la gente del mondo senza nessuna ragione
Alzasse la testa e volasse su
Senza il loro casino, quel doloroso rumore
La terra, povero cuore, non batterebbe più
Mi manca sempre l’elastico per tenere su le mutande
Così che le mutande al momento più bello mi vanno giù
Come un sogno finito, magari un sogno importante,
un amico tradito,
anche io sono stato tradito, ma non mi importa più
Tra il buio del cielo e le teste pelate bianche
Le nostre parole si muovono stanche,
non ci capiamo più
Ma io voglio parlare, voglio stare ad ascoltare
Continuare a comportarmi male
per poi non farlo più
Ah...Felicità,
su quale treno della notte viaggerai
Lo so che passerai
Ma come sempre in fretta non ti fermi mai
Si tratterebbe di nuotare prendendola con calma
Farsi trasportare dentro due occhi grandi, magari blu
E per doverli liberare attraversare un mare medievale
Lottare contro un drago strabico,
ma di draghi baby non ce ne sono più
Forse per questo i sogni sono così pallidi e bianchi
E rimbalzano stanchi tra le antenne lesse delle varie Tv
E ci ritornano a casa portati da signori eleganti
Cessi che parlano, tutti che applaudono
non li vogliamo più
E se questo mondo è un mondo di cartone
Per essere felici, basta niente magari una canzone o chi lo sa
Se non sarebbe il caso di provare a chiudere gli occhi
E anche dopo che hai chiuso gli occhi non sai come sarà.

Thursday, November 15, 2007

Back to Ken Baimilov


Ken Baimilov. Lo adoravano tutti ai suoi tempi, lo agognavano colle mani agitate dalle transenne, lo gridolinavano le ragazze dai baci buoni e lo mitizzavano i ragazzi con la gioventù fresca di giornata. In alto i nostri cuori. Sono rivolti all’emancipazione. Ken Baimilov, tu lo sai.

Ken Baimilov era unico. Qualcuno gli viaggiava in parallelo, ma quella era un’altra strada, strada da rumble sulle corde, lanci di riff tra le stelle, lingue in bocca e insoddisfazioni per le informazioni utili. Quella è una strada tuttora aperta e frequentata da trovatori che rischiano di incontrare il diavolo sulla strada per Bombay.

Ken Baimilov sapeva di lampone e much mellows.
E faceva l’amore col sorriso, finalmente libero di farlo. Non c'era bisogno d' altro.

Ken Baimilov vide intorno a sé tutti quei ricci sul pavimento del barbiere, quei colori sforzati sul nascere e quei minimalismi rasati di rabbia spray. Si rese conto che era più bello lui, che in fondo prima nemmeno esisteva lo stile. Che lui e gli altri avevano inventato perfino il cerchio, i fiori e le minigonne, niente spigoli&chiaroscuri, neri virati a seppia e macchie di roast beef.

Ken Baimilov sapeva che sarebbero tornata anche l’amica Odri, quella che aveva inventato l’Età Classica e Norma, l’inventrice delle Bionde, quella del primo Legendèveruìll.
Basta scolorate risciacquature delle frange & dita nel naso.

Ken Baimilov tornava come un Santo, forse l’unico che ancora poteva parlare, dopo che si era detto tutto e il contrario di tutto. Dopo che non si sapeva più nemmeno con che lingua parlare e con che orecchie ascoltare. Ken Baimilov era lo Spirito Santo che riportava la concordia e la speranza. In fondo era nato ricco di speranze.

Ken Baimilov è il nuovo che ritorna. In tutti questi anni ha lasciato che dalle periferie dell’impero e dalle aspersioni del proprio seme, si sparigliassero figli illegittimi e apostati dai facili costumi. Finchè non esaurissero tutta la povera nuce potenziale, in un vuoto che invocava il ritorno all’infanzia, laddove Ken Baimilov era festa e luce della mattina propagata.

Ken Baimilov
everybody tells me so
Ken baimiloo-òv
no no no, no


Se vuoi toccare sulla fronte il tempo
che passa volando
in un marzo di polvere e di fuoco
e come il nonno di oggi sia stato
il ragazzo di ieri,
se vuoi ascoltare
non solo, per gioco
il passo di mille pensieri
chiedi chi erano i Beatles
Se vuoi sentire sul braccio
il giorno che corre lontano
e come una corda di canapa
è stata tirata,
o come la nebbia è inchiodata alla mano
fra giorni sempre più brevi
se vuoi toccare col dito
il cuore delle ultime nevi
chiedi chi erano i Beatles
Chiedilo a una ragazza di quindici anni di età
chiedi chi erano i Beatlese lei ti risponderà
la ragazza bellina
col suo naso garbato,
gli occhiali e con la vocina
chi erano mai questi Beatles
lei ti risponderà!
I Beatles non li conosco
e neanche il mondo conosco
Sì sì conosco Hiroshima,
ma del resto ne so molto poco.
Ha detto mio padre:
"L'Europa bruciava nel fuoco."
Dobbiamo ancora imparare,
siamo nati ieri, siamo nati ieri.
Dopo le ferie d'agosto,
non mi ricordo più il mare.
Non ricordo la musica,
fatico a spiegarmi le cose.
Per restare tranquilla,
scatto a mia nonna le ultime pose
chi erano mai questi Beatles
Voi che li avete girati nei dischi e gridati
voi che li avete aspettati ascoltati bruciati e poi scordati
voi dovete insegnarci con tutte le cose
non solo a parole
chi erano mai questi Beatles
chi erano mai questi Beatles
La pioggia cade presto asciugata dal sole.
Un fiume scorre su un divano di pelle.
Ma chi erano mai questi Beatles
Le auto hanno brusche fermatee le radio private
mettono in ondala nebbia e le vecchie paure.
Chi erano mai questi Beatles
Di notte,sogno città che non hanno mai fine.
Sento tante voci cantare
e laggiù gente risponde.
Nuoto fra le onde di sole,
cammino nel cielo del mare.
Chi erano mai questi Beatles
Chi erano mai questi Beatles

Friday, November 09, 2007

Volando vengo, volando voy


Eccomi Bà,
non ti muovere da là,
mancano poche ore e sarò di nuovo da Te.

Come quando ti incontrai la prima volta, sotto la statua di Colombo, su una panchina tra mare e Ramblas, io te e mio cugino, lui ormai già svezzato da Te.

E mi insegnasti tanto, mi facesti gli occhiali nuovi, mi sciogliesti la lingua, mi accogliesti in seno. Ti lasciavi percorrere, mi facevi andare e venire in superficie e sottopelle, di giorno e di notte.
Abbiamo riso e cantato, bevuto e condiviso, abbiamo visto la gioventù in faccia.

Così mi aspettasti alla prima Vuelta, quando la fame era cresciuta nell’inverno ed era come un sintomo di febbre… perciò come ti vidi, mi ti buttai in grembo.
Certe facce che avevi, non me le posso dimenticare.
Eri bella a tutte le ore, luminosa mentre camminavi la mattina per strada e vestita dolcemente di blu mentre calava la sera alla fermata della Metro.

E ogni volta che posso,
da allora ritorno da Te.

Aspettami Bà, eccomi.

So già che non potrò far a meno di ripassare sulle tue meraviglie, di intravedere tra i vicoli e gli angoli qualcosa d’antico e già fiutato.

So che sarai sciantosa sul Paseo de Gracia, avrai un fascino antico per il Barrio Gotico e indosserai merletti in pizzo alla Cattedrale. Sarai sfrontata alla Sagrada Familia ed esuberante al Parc Guell.
Avrai forme morbide alla Casa Battlò e misteriose alla Pedrera; sarai generosa e torrentizia sulla Rambla, dove avrai una luce diversa e tutti ti guarderanno appassionati.
Aspettami al mare, passerò anche da là, che lo so che ci vai anche fuori stagione.

Riconoscerò i tuoi sapori forti, riempiremo le coppe e affonderemo come sempre, senza essere più dove, senza sapere più come, senza ricordarci nemmeno quando.

Bàrcelona Esta Noche Te Quiero.


Me llaman el desaparecido
Que cuando llega ya se ha ido
Volando vengo, volando voy
Deprisa deprisa a rumbo perdido
Cuando me buscan nunca estoy
Cuando me encuentran yo no soy
El que está enfrente porque ya
Me fui corriendo más allá
Me dicen el desaparecido
Fantasma que nunca está
Me dicen el desagradecido
Pero esa no es la verdad
Yo llevo en el cuerpo un dolor
Que no me deja respirar
Llevo en el cuerpo una condena
Que siempre me echa a caminar
Me llaman el desaparecido
Que cuando llega ya se ha ido
Volando vengo, volando voy
Deprisa deprisa a rumbo perdido
Yo llevo en el cuerpo un motor
Que nunca dejade rolar
Yo llevo en el alma un camino
Destinado a nunca llegar
Me llaman el desaparecido
Cuando llega ya se ha ido
Volando vengo, volando voy
Deprisa deprisa a rumbo perdido
Perdido en el siglo... siglo XX... rumbo al XXI

Monday, November 05, 2007

finirà questo inverno questa rabbia di un'ora


Per quanto freddo possa fare, soffiando fumo tra i denti nell’età del precariato, una volta tirato in secco l’essenziale sentimentale e il propellente emozionale, spaccheremo le caldarroste in due, le terremo tra le mani palleggiandole tra i palmi affinché ci scaldino e, come mì nonno durante la guerra, contratteremo il companatico con un carretto di filo, cercheremo di riderci su, che l’allegria non è soggetta a tasse, autorizzazioni e procedure di qualità.
Nonno, che io ho mancato di conoscere ventiquattranni almeno prima che nascessi, durante la guerra, quella coi tedeschi, coi fascisti, cogli americani e con l’otto settembre, maresciallo della marina con un figlio di due anni e una poppante in fasce, avendo un armistizio sulle spalle, si ritrovò a non poter uscir di casa dopo la data suddetta, che altrimenti ci dicevano “Uè uè, ma tu perché non sei a Salò ?”.

Nonno e Nonna passarono per Porta San Paolo mentre traslocavano col carètto tutti i loro beni, poche ore prima della battaglia.
Nonno una mattina che il latte bisognava prenderlo assolutamente, finì su un carro che rastrellava cristiani, ebrei e quant’altri poi si sarebbero identificati e scappò buttandosi in corsa grazie ad un rallentamento, col rischio di farsi sparare dietro, mica cazzi.
Nonno per far partorire la moglie, fermò una vettura che passava e nella vettura c’erano i tedeschi. Gli infilò la moglie in macchina e scappò. Però quelli furono tedeschi gentili.
Nonno quando la fame li stava mangiando le pelli, rimediò un carètto di ago fili e pezze varie, se ne andò nelle campagne di Roma Nord, sparì per cinque sei giorni, incontrò un suo marinaio e barattò il carretto con due litri d’olio e un sacco di farina. Tornò su un camion di carbone. Così nero che Nonna non lo riconosceva e non voleva aprirgli.
Nonna aprì la porta, due minuti dopo aveva fatto impasti&pasta. Mangiavano, finalmente.
Nonna, nell’inverno del ’43, trovò un fondo di pasta nel cassetto di un mobile, lo fece bollire a lungo e Nonno se lo divorò, seppure la pasta gli aveva sempre fatto schifo.
C’era la Fame, che noi oggi ci sono pure i discount.
Andremo a vivere sotto i ponti a progetto, con un cielo interinale a farci su da tetto.
Porteremo carretti di filo in campagna. Dovranno pur andarsene i tedeschi.

Notte scura notte chiara notte finirai
notte di bombardamenti notte che non sai
che Nina ha pianto di paura in latteria
perduta nel rifugio sotto casa sua
dentro un libro di Liala la serenità
Roma adesso è troppo avara non ti ascolterà
e d'incontrarlo, lui che viene da lontano,
probabilmente è stato l'unico regalo.
Dove vai che farai quanti anni mi dai?
Credi ancora all'amore, se ci credi perché?
Non lo so dove andrò, ti do gli anni che hai,
credo ancora nell'amore perché avrà gli occhi tuoi.
Non lo so che farò ti darò gli anni miei
credo ancora all'amore perché avrà gli occhi tuoi.
Nina abita a Trastevere e lo aspetterà
mentre lui sta a San Lorenzo e la raggiunge in tram
e quando l'odio della guerra aumenterà
soltanto Nina riuscirà a portarlo via.
Ma la guerra è giù alla porta e gli ha bussato già
la divisa d'artigliere e una fotografia
e Nina non vorrebbe mai mandarlo via
vederlo piangere e marcire in prigionia.
Dove vai dove sei Nina aspettami ancora
finirà questo inverno questa rabbia di un'ora
dove vai dove sei mio dolcissimo amore
quante stelle al soffitto ho contato per te.
Dove vai dove sei mio sperduto mio amore
ogni sera al portone se vuoi ti aspetterò
dove vai dove sei Nina aspettami amore
passerà presto un treno,
io, vedrai che saprò ritornare.
Dove vai dove sei Nina credi all'amore?
Credo ancora all'amore perché avrà gli occhi tuoi