Tuesday, January 30, 2007

GucciPaZ


Monday, January 29, 2007

Guccini al palaeur




C’è un linguaggio aulico e semplice che va oltre il proprio e il dolore circospetto che ci portiamo nei sottofondi per una causa del vissuto che non si è svolta secondo la trama lo svolgimento e la conclusione che sarebbe il filo della matassa che la tua testa metteva come the end e vissero felici e contenti e salariati e invece il filo lo hanno messo a fare un maglioncino di una fottuta marca del cazzo e te la prendi nel culo se vuoi mantenere quel minimo di copertura assicurativa che faranno di te e del tuo affitto una città sotto la neve in una palla di vetro con la scritta Curmayè, Vienna, Bologna senza essere curmayè vienna bologna ma solo un coccio di vetro con una stronzata dentro.

E allora fra poesia e raccontare ti vengo a parlare di storie che ci appartengono, se non sei pecora bianca e se credi che a via paolo fabbri 43 ci abiti Guccini e non un disco che comprate i miei dischi e non sputatemi addosso, e il perbenismo la borghesia son uguaglianze che a raccontarle non son quelle che ti vivono dentro, e senza far caso alla grammatica, ti vengo a dire schiettamente, come un cazzo in culo e non come voglia di arrivismo, che le parole di cui abbiamo bisogno sono sospese tra una rima soltanto/amaranto e una semplice dichiarazione che “hai voglia di me e della vita” e tutto il resto è materia da mettere in vendita per una soddisfazione da ricchi di quest’epoca del cazzo, tra le cambiali pagate per il funerale di dio e i camini di Auschwitz, possa dio, presente o assente che sia, darmi il dono della memoria da tramandare.

Voglio krapfen voglio boiate, voglio incespicare, voglio arrivare per tempo e non per contrarietà, voglio una fiaccola e lanciami a bomba perché il ferroviere del secolo scorso oggi è il ferroviere di un secolo dopo, altro che chiacchiere, voglio stoviglie color nostalgia perché ho vissuto per aver nostalgia e non per un cazzo di niente, voglio giocare l’eterno gioco proibito perché amo, voglio non pensare mai colla stitichezza razionale del “noi non siamo perseguibili per legge”, voglio poterti dire non parlare, parlami di te e non di tutto il resto delle minchiate che ci fanno colloquio intorno. Sii saggio come io son contenta, mi sento in testa.

Io qui mi inchiodo coi miei pensieri,quei quattro stracci che ho avuto ieri non li metto più, per non dover dire non siamo non siamo non siamo, ma per appartenere tra poesia e raccontare a quella poca parte che poi quando esci dal concerto di Guccini ti chiedi: ma come è possibile che quell’altri siano di più?

E’ che quando finiscono sti concerti te viene da dì Grazie Francesco, che tra poesia e raccontare m’hai parlato della rabbia, dell’amore, dell’amicizia e m’hai fatto vedè che si può essere così semplicemente diversi.Grazie per aver scritto le tue canzoni.Che svettano in alto come falconi.
La canzone è una penna e un foglio
così fragili fra queste dita,
è quel che non è,
è l’erba voglio
ma può essere complessa come la vita.
La canzone è una vaga farfalla
che vola via nell’aria leggera,
una macchia azzurra, una rosa gialla,
un respiro di vento la sera,
una lucciola accesa in un prato,
un sospiro fatto di niente
ma qualche volta se ti ha afferrato
ti rimane per sempre in mente
e la scrive gente quasi normale
ma con l’anima come un bambino
che ogni tanto si mette le ali
e con le parole gioca a rimpiattino.
La canzone è una stella filante
che qualche volta diventa cometa
una meteora di fuoco bruciante
però impalpabile come la seta.
La canzone può aprirti il cuore
con la ragione o col sentimento
fatta di pane, vino, sudore
lunga una vita, lunga un momento.
Si può cantare a voce sguaiata
quando sei in branco, per allegria
o la sussurri appena accennata
se ti circonda la malinconia
e ti ricorda quel canto muto
la donna che ha fatto innamorare
le vite che tu non hai vissuto
e quella che tu vuoi dimenticare.
La canzone è una scatola magica
spesso riempita di cose futili
ma se la intessi d’ironia tragica
ti spazza via i ritornelli inutili;
è un manifesto che puoi riempire
con cose e facce da raccontare
esili vite da rivestire
e storie minime da ripagare
fatta con sette note essenziali
e quattro accordi cuciti in croce
sopra chitarre più che normali
ed una voce che non è voce
ma con carambola lessicale
può essere un prisma di rifrazione
cristallo e pietra filosofale
svettante in aria come un falcone.
Perché può nascere da un male oscuro
che è difficile diagnosticare
fra il passato appesa e il futuro,
lì presente e pronta a scappare
e la canzone diventa un sasso lama, martello, una polveriera
che a volte morde e colpisce basso
e a volte sventola come bandiera.
La urli allora un giorno di rabbia
la getti in faccia a chi non ti piace
un grimaldello che apre ogni gabbia
pronta ad irridere chi canta e tace.
Però alla fine è fatta di fumo
veste la stoffa delle illusioni,
nebbie, ricordi, pena, profumo:
son tutto questo le mie canzoni

Wednesday, January 24, 2007

il fegato e le cipolle





















Vero che certi giorni li ammazzeresti tutti?
Si.
Perché dovrei avere più pietà?
Per un senso di strenna natalizia ?

Per due lacrime di cipolla?

Tu vuoi il profitto, io lo stipendio. In mezzo c’è solo il principio di martello e incudine.
Non credo occorra insegnar altro ai bambini.
Non comprate futuri in svendita,

non fidatevi dei saldi di fine stagione, quando la stagione è Vostra, e non è ancora finita.

E a un dio fatti il culo, non credere mai,
che a crocifiggerti con forchette che si usano a cena, ci mettono un amen.


Eppure non voglio dar via il fegato sputando veleno.
Nemmeno pagassero le spese mediche.


In fondo al mio orizzonte, non c'è l'incisione in lacrime sulla colonna di traiano,
ma una memoria condivisa di giorni, di mani, di occhi.

Quando ero piccolo m'innamoravo di tutto correvo dietro ai cani
e da marzo a febbraio mio nonno vegliava
sulla corrente di cavalli e di buoi
sui fatti miei sui fatti tuoi
e al dio degli inglesi non credere mai.
E quando avevo duecento lune e forse qualcuna è di troppo
rubai il primo cavallo e mi fecero uomo
cambiai il mio nome in "Coda di lupo"
cambiai il mio pony con un cavallo muto
e al loro dio perdente non credere mai
E fu nella notte della lunga stella con la coda
che trovammo mio nonno crocifisso sulla chiesa
crocifisso con forchette che si usano a cena
era sporco e pulito di sangue e di crema
e al loro dio goloso non credere mai.
E forse avevo diciott'anni e non puzzavo più di serpente
possedevo una spranga un cappello e una fionda
e una notte di gala con un sasso a punta
uccisi uno smoking e glielo rubai
e al dio della scala non credere mai.
Poi tornammo in Brianza per l'apertura della caccia al bisonte
ci fecero l'esame dell'alito e delle urine
ci spiegò il meccanismo un poeta andaluso
- Per la caccia al bisonte - disse - Il numero è chiuso.
E a un Dio a lieto fine non credere mai.
Ed ero già vecchio quando vicino a Roma a Little Big Horn
capelli corti generale ci parlò all'università
dei fratelli tutte blu che seppellirono le asce
ma non fumammo con lui non era venuto in pace
e a un dio fatti il culo non credere mai.
E adesso che ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo
che ho scaricato la mia rabbia in un teatro di posa
che ho imparato a pescare con le bombe a mano
che mi hanno scolpito in lacrime sull'arco di Traiano
con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia
ma colpisco un po' a casaccio perché non ho più memoria
e a un dio senza fiato non credere mai

Thursday, January 18, 2007

meno cinque a giugno

















Il pupo che si sveglia male frigna, piccia e scapriccia e poco c’è da fare, è per così dire stranito.
E questo è comprensibile quanto l’ istintualità infantile, beati bimbi, che guarda come dorme…
Ma l’influsso invernale, l’oscurità precoce che rabbuia, magnetizza sovente pure il consesso degli adulti, nuvoloso transfert umorale della pioggia grigia diurna, almeno avesse la decenza di uno scroscio che si lava via pure fra Cristoforo … uno di quegli acquazzoni che non si vedeva da una vita intera…ma piove piove sul trentanove.
Qui, bomba o non bomba, ti viene incontro un vecchio che ti dice di stare al gioco, insieme a dotti medici e sapienti, sfiaccolando una luce di lampadina nel buio fondo del sudore della fronte a cottimo, mentre sulle principali vie centrifughe c’è un trasporto intermodale di avarìe liberoscambiste e smaltimento scorie tossiche.
Il carretto passava e quell’uomo gridava “sottoscrivete il nostro capitale”, “accaparratevi pane e sudore”, “fate gioco di squadra, almeno finchè non esce la matta, che poi si ridanno le carte.”
A fine giornata, complice gennaio e le luci al neon in cucina, lupi&volpi, sopravviventi alle favole consumate di antichi bimbi bravi con le scarpe strette e una prematura faccia da cazzo, setacciano rughe col passino e a denti serrati si fumano la rabbia di domani, lisciandosi il pelo.


La solita strada, bianca come il sale
il grano da crescere, i campi da arare.
Guardare ogni giorno se piove o c'e' il sole,
per saper se domani si vive o si muore
e un bel giorno dire basta e andare via.
Ciao amore, ciao amore,
ciao amore ciao.
Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao.
Andare via lontano a cercare un altro mondo
dire addio al cortile,
andarsene sognando.
E poi mille strade grigie come il fumo
in un mondo di luci sentirsi nessuno.
Saltare cent'anni in un giorno solo,
dai carri dei campi agli aerei nel cielo.
E non capirci niente e aver voglia di tornare da te.
Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao.
Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao.
Non saper fare niente in un mondo che sa tutto
e non avere un soldo nemmeno per tornare.
Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao.
Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao

Tuesday, January 16, 2007

Sottoboschi di vitelli













Dietro il velo di Maya, continuando a scavare, tra l’underground e la periferia, ai margini degli avvenimenti principali, le notizie in telex, poche righe sul giornale, fanzine e gazzettini locali, lì ci sono i sottoboschi.

Nei programmi scolastici dei licei, dopo aver lodato per anni le Pallavicini che fanno er botto da cavallo, i venditori di almanacchi che attaccano la pippa sul treno e le pargolette mano, ci si ferma al Novecento, non tutti portano alla maturità i Crepuscolari , gli Ermetisti, Pasolini e le sorelle Materazzo. E so sottoboschi pure quelli. Sottoboschi da cenacolo.

Ah Cì, ma che testai affumà, er puzzone? Ma che hai magnato er pollo? Oh, n’amico mio cià er polline… Fà na elle… sto cartoncino nun è bbono manco pè i filtri… Sto fattissimo… La fame tossica, il latte coi biscotti, i viùstel col chèciap …ho avuto un flash… il regghe de lu salentu spacca… Sottoboschi de fattoni.

Molto spesso attraversati dal sangue vivo della gioventù, CCCP, Diaframma e pochi spiriti affini, questi facevano sottobosco mentre nel bosco s’aggiravano improbabili fauni con le spille di salamandra sul blazer rosso e protagoniste di fotoromanzi scolorati e di permanenti quantomeno presuntuose. Sottoboschi da manifesti a lettere ritagliate.

Ai margini delle categorie culturali cui appartenevano, quali correnti critiche, quali coscienze dialettiche, quali molte parole che caratterizzavano cantautorimpegnati che poi però i dischi li vendevano, ecco lì nel loro sottobosco d’autore altrettante coscienze limpide e misconosciute ai meno oltre che ai più, De Angelis, Ciampi e Lolli hanno scritto gioielli che poi verranno ricordati da rari archivisti o archeologi capaci di scovarti anche l’abside capolavoro del tardobarocco romano di campagna, affrescato dal Torsolaio, nella chiesetta di Gennazzeto sul Treja. Sottoboschi da nastrocassetta, mentre si va in gita la domenica.

C’è vita nel sottobosco? Ci sono fermenti lattici? E nel sottoboschetto della tua fantasia c’è Enrico Ruggeri che canta Mio caro vitello dai piedi di balsa, la tua storia è falsa? E l’orsetto ricchione…? Sottoboschi di vitelli.

Nel boschetto della mia fantasia c'è un fottio di animaletti un pò matti inventati da me,

che mi fanno ridere quando sono triste,

mi fanno ridere quando sono felice, mi fanno ridere quando sono medio;

in pratica mi fanno ridere sempre,

quel fottio di animaletti inventati da me.

C'è il vitello con i piedi di balsa,

il vitello con i piedi di spugna

e indovina chi c'è?

C'è pure il vitello coi piedi di cobalto,

c'è il vitello dai piedi tonnati.

Quattro ne ho inventati;

sono gli animali della mia e della tua fantasia.

Ma un giorno il vitello dai piedi di balsa si recò dal vitello dai piedi di cobalto e gi disse: "C'è il vitello dai piedi tonnati che parla molto male di te: sostiene che i tuoi piedi non sono di vero cobalto ma sono in effetti quattro piedi di pane, ricoperti da un sottile strato di cobalto".

"Mio caro vitello dai piedi di balsa, la tua storia è falsa. L'amico vitello dai piedi di spugna mi ha svelato la verità: egli ha nascosto una microspia nei tuoi piedi di balsa e nei piedi tonnati, così ha scoperto che tu, solo tu, sempre tu, anche tu, nient altro che tu, si si proprio tu...... Sei il vitello dai piedi di balsa, inventore di una storia falsa: accusavi il vitello dai piedi tonnati e per questo i tuoi piedi saranno asportati." Ma la legge prevede una pena aggiuntiva per questo reato, l'ascolto forzato di.........

Nel boschetto della mia fantasia ora c'è un vitello senza più i piedi che invoca pietà,

quand' ecco che un piccolo amico si avvicina.......

'Mi presento: son l'orsetto ricchione e come avrai intuito

adesso ti inculo.....'

Thursday, January 11, 2007

Oltre il Guttuso ancora da autenticare


L’ho conosciuto a tredici anni con il live insieme alla PFM.
Non l’ho mai più abbandonato, e viceversa.
Se c’è un artista che ho sempre sentito senza interruzioni e in ogni periodo è

Fabrizio DeAndrè.

Non credo di aver ancora finito di scoprirne la suggestione e il valore.

Allora, oggi ci dico un grazie ulteriore,
che valga come un ricordo.

Grazie per tutti:


per la moglie di Anselmo
per la cattiva strada
per un pinocchio fragile parente artigianale
per i quattro pensionati mezzo alcolizzati al tavolino
per alice che si fa il whisky distillando fiori
per la gazza che ti ho regalato…
per chi non gli era mai venuto in mente di essere molto più ubriaco di voi
per berto figlio della lavandaia
per una vecchia mai stata moglie
per ciciriniella compagno di cella
per la scimmia del quarto reich
per uno che non riesce più a volare
per un uomo onesto un uomo probo
per Teresa ha gli occhi secchi..


Teresa ha gli occhi secchi
guarda verso il mare
per lei figlia di pirati penso che sia normale
Teresa parla poco ha labbra screpolate
mi indica un amore perso
a Rimini d'estate
Lei dice bruciato in piazza
dalla santa inquisizione
forse perduto a Cuba nella rivoluzione
o nel porto di New York
nella caccia alle streghe
oppure in nessun posto
ma nessuno le crede
Rimini
E Colombo la chiama
dalla sua portantina
lei gli toglie le manette ai polsi
gli rimbocca le lenzuola
"Per un triste re cattolico
- le dice -
ho inventato un regno
e lui lo ha macellato su una croce di legno

E due errori ho commesso
due errori di saggezza
abortire l'America e poi
guardarla con dolcezza
ma voi vhe siete uomini
sotto il vento e le vele
non regalate terre promesse
a chi non le mantiene"
Rimini

Wednesday, January 10, 2007

lampo






















Stai parlando, un discorso pure serio, a tavola brandendo la forchetta, però all’improvviso la tv da voce ad una nota, ti giri e sei già attaccato ar muro, la forchetta ancora in mano.

Vasco Rossi, Vita Spericolata, Sanremo 83.

Certi pezzi non si devono sprecare, li senti troppo poi si bruciano, li lasci arrivare quando il caso o chi sa far caso al caso li lasciano scivolare in aria e allora quando arrivano creano la sospensione del giudizio, l’infilata meraviglia di Stendhal, il “cristo ieri era oggi e in mezzo non c’è stato molto tempo”. Se queste note arrivano di notte potrebbero graffiarti e lasciare il segno.

Non m’interessa se chi le canta s’è bruciato, s’è venduto, è ancora in forma o fa la propria controfigura, cosa ho ascoltato nel frattempo, indie, grunge e musica d’autore, quali verità evangeliche abbia potuto assumere nel mio profondo fondo, non m’interessa, stiamo parlando di una lingua che m’appartiene, che m’ha fatto da pelle quando c’era un’età di mezzo che si fugge tuttavia…

Recupero l’uso della forchetta.
Che stavamo addì?

Voglio una vita maleducata
di quelle vite fatte, fatte così
voglio una vita che se ne frega
che se ne frega di tutto sì
voglio una vita che non è mai tardi
di quelle che non dormono mai
voglio una vita di quelle che non si sa mai.
E poi ci troveremo come le stars
a bere del whisky al Roxy bar
o forse non c'incontreremo mai
ognuno a rincorrere i suoi guai
ognuno col suo viaggio
ognuno diverso
e ognuno in fondo perso
dentro i fatti suoi!
Voglio una vita spericolata
voglio una vita come quelle dei film
voglio una vita esagerata
voglio una vita come Steve Mc Queen
voglio una vita che non è mai tardi
di quelle che non dormi mai
voglio una vita, la voglio piena di guai!!!
E poi ci troveremo come le stars
a bere del whisky al Roxy bar
oppure non c'incontreremo mai
ognuno a rincorrere i suoi guai
ognuno col suo viaggio
ognuno diverso
e ognuno in fondo perso
dentro i fatti suoi!
Voglio una vita maleducata
di quelle vite fatte così
voglio una vita che se ne frega
che se ne frega di tutto sì!!!
Voglio una vita che non è mai tardi
di quelle che non dormi mai
voglio una vita
vedrai che vita vedrai!!!
E poi ci troveremo come le stara bere del whisky al Roxy bar
o forse non c'incontreremo mai
ognuno a rincorrere i suoi guai!!!
Voglio una vita spericolata
voglio una vita come quelle dei film
voglio una vita esagerata
voglio una vita come Steve Mc Queen
Voglio una vita maleducata
di quelle vite fatte così
voglio una vita che se ne frega
che se ne frega di tutto sì!!!

Monday, January 08, 2007

E tutti addì "non è possibile!"























Il circo, il tendone, i bambini attoniti, i pagliacci, i trapezisti, gli animali e gli animalisti.

Detto questo, passiamo al Cinque du Soleil, che invece se non lo vedi non lo credi e ti fermi a quelle parole di cui prima, suggerite dall’idea platonica di circo che ci alloggia nel nostro personale vocabolario del “già lo sapevo” che invece poi non sai un cazzo – “…ma che ne sai tu, che ne sai…” -.

Metti trentasei acrobati cinesi che portano nei tendini e nelle giunture il dna della tradizione e l’allenamento atavico, mettici tanti altri e mica solo i cinesi, mischia le tecniche tradizionali coi sentimenti universali, comunica con il linguaggio universale dell’arte, aggiungi i colori e i costumi, le tonalità, le musiche e le coreografie, l’ingegneria, la tecnologia, le ore passate a lavorare per essere eccezionale, una vita in un progetto che sa di luce e di gioia, un applauso del pubblico pagante, la consapevolezza dell’eccezionale sudato in tutte l’ossa, giungere all’estremo del numero proprio lì dove non sembrava possibile, mille spettacoli tre milioni di spettatori più io in dvd

… e sappi che sei un’artista, non di quelli che sò bboni tutti a dì che sò artista perché arraffano maramaldi lo status symbol con la compiacenza del medocrity star system on television, per la diffusione di un catodico wasting time senza nemmeno dock of the bay…

L’arte passa giorno per giorno, come le stagioni. Chi si dedica all’eccezionale, porta il sorriso e rifugge la mediocrità, lasciandola ai cristallizzati mentali e ai costretti alla reiterazioni. E parla un linguaggio positivo.
Semplice e diretto, nient’altro da aggiungere.
Questo ho visto al circo, in un’idea platonica dell’arte.


Balla balla ballerino
tutta la notte e al mattino non fermarti.
Balla su una tavola tra due montagne
e se balli sulle onde dei mare
io ti vengo a guardare.

Prendi il cielo con le mani
vola in alto più degli aeroplani
non fermarti.
Sono pochi gli anni forse sono solo giorni
e stan finendo tutti in fretta e in fila
non ce n'è uno che ritorni.
Balla non aver paura
se la notte è fredda e scura
non pensare alla pistola che hai puntato contro.

Balla alla luce di mille sigarette
e di una luna che ti illumina a giorno.
Balla il mistero di questo mondo che brucia in fretta
quello che ieri era vero, dammi retta, non sarà vero domani.
Ferma con quelle tue mani il treno Palermo-Francoforte,
per la mia commozione c'è un ragazzo al finestrino,
gli occhi verdi che sembrano di vetro
corri e ferma quel treno fallo tornare indietro.
Balla anche per tutti i violenti veloci di mano e coi coltelli, accidenti.
Se capissero vedendoti ballare di essere morti da sempre anche se possono respirare.
Vola e balla sul cuore malato illuso, sconfitto, poi abbandonato
senza amore dell'uomo che confonde la luna
con il sole senza avere coltelli in mano ma nel suo povero cuore.
Allora vieni angelo benedetto
prova a mettere i piedi sul suo petto
e stancarti a ballare al ritmo del motore
e alle grandi parole di una canzone, canzone d'amore.
Ecco il mistero, sotto un cielo di ferro e di gesso
l'uomo riesce ad amare lo stesso
e ama davvero nessuna certezza
che commozione, che tenerezza

Friday, January 05, 2007

le Nuvole






















Leggere lo stampato della scienza rotolante nel progresso e sovrapporci la fotografia fatta dall’alto sul formicaio brancolante e sulle istituzioni preposte è spettanza artistica che facilmente deraglia nelle lenticchie sociologiche spacciate ai supermarket della comunicazione per venir incontro alle ridotte capacità mentali e alla commozione formato snack di un’umanità rinchiusa dietro i codici a barre.
La spettanza dell'artista è come le nuvole: per una vera mille sono finte.
Ma quella vera corrisponde agli occhi di un pettirosso da combattimento.
Le Nuvole, 1990 – prima di falcone e borsellino, subito dopo la caduta del muro, vanno vengono e a volte ritornano e guardano dall’alto facendo pioggia e sole e considerando la sostanza impalpabile di cui so fatte, possono permettersi di raccontare un secolo e andare a scoprire che l’aumento della velocità delle comunicazioni espanse e inerenti rivoluzioni industriali, mentre hanno creato grandi ponti di ferro su tutti i teveri e metropolis e le acciaierie di terni ed il bacino carbonifero della rhur e le curve dei profitti,contemporaneamente hanno lasciato inalterato l’impianto etico morale del Continente, fermo al Congresso di Vienna (osservazione presa in prestito). E allora sotto le Nuvole ci trovi l’astio e il malcontento di chi è sottovento e non vuol sentir l’odore di questo motor che ci porta avanti quasi tutti quanti, ci trovi Cafiero Pasquale, ci trovi polacchi che non morirono subito e inginocchiati agli ultimi semafori rifacevano il trucco alle troie di regime lanciate verso il mare ...


Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio
Certe volte sono bianche

e corrono
e prendono la forma dell’airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri
Certe volte ti avvisano con rumore

prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
Vanno

vengono
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai
Vanno

vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono li tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia