Thursday, April 17, 2008

voi avevate voci potenti


Il giorno in cui Kopernico sporgendosi dal balcone notò le rotondità della terra, avrà provato una sorpresa che neanche te la immagini, ma forse comparabile con lo shock della Sinistra all’indomani delle elezioni amministrative del 2008: il Paese Reale era un’altra cosa, fuori non c’erano i puffi operai!

Intorpidi dai salotti e sofisticati dalle TV, i Leaders sociali si riscoprirono sagomati&stempiati, un po’ come quei cantanti di Sanremo che nella realtà nessuno ascolta più da anni né tantomeno gli comprerebbe i dischi. Solo che quando li metti tutti insieme in una compilation, fanno corpo e creano quell’effetto vintage, che da la sensazione che in fondo ancora… si può fare.

Preso atto che laddove c’era una Casa del Popolo adesso c’è un presidio della Lega, dopo un’ autocritica profonda di trentagiorni, durante i quali tentarono di formarsi otto nuove correnti disperse su tutto l’arco di rosso dal tiziano al pompeiano, dopo aver proposto dodici nomi nuovi di coalizione (tra cui “Sinistra Identitaria” e “Partito Comunista abbastanza Trotskista ma non molto Leninista con hennè Togliattiane del ‘52”), dopo aver rinunciato a malincuore a festeggiare il ventennale dell’anno prima del crollo del muro di Berlino con una degustazione di morellino a Capalbio e ad una di formaggio di fossa a Correggio, si decise di provvedere a Corsi di Formazione per il reinserimento nel Paese Reale, con tanto di training on the job e salario precario.

A Bertinotti, accusato di parlare come Habermas piuttosto che come un operaio, fu suggerito un corso di Comunicazione Semplice, patrocinato dalla Fondazione Caldaroli, per avvicinarlo al popolo. Così, dopo aver approfondito la tematica di marketing “La Sinistra fenechiana e il carro di buoi”, visionando una serie di produzioni cult di Edwige Fenech, Bertinotti si fece riprendere con un videofonino mentre scriveva “W la Fica” sul muro di una scuola, partecipò ad una gara di rutti a Trezzano Ticinese sfidando il locale campione Maurilio Ballarin e andò ospite da Bonolis a raccontare di quanto gli era sempre piaciuto il sedere delle ballerine cubane e di quella volta che momenti succedeva il fattaccio con una cameriera intraprendente a La Habana…

Diliberto apparve più difficile. Da alcune indagini sul suo passato, emerse che da giovane era stato campione di boccette alla sezione di partito del paese, ricevendo in premio una spilletta sbrilluccichina con falce&martello e un sospirato bacio da Miss Sezione ’62.
Con queste premesse fondanti, si decise necessariamente di applicare inizialmente il metodo “Goodbye Lenin”.
Gli si fece credere che grazie al riconteggio delle schede, scoperto un errore di calcolo nei metodi progressivi del campione fattoriale e attuariale (tanto lui già non stava più a sentire…)…insomma la Sinistra avesse in mano il Paese, ma che per motivi legati alla strategia dell’Internazionale, il Politburo aveva deciso di tenere nascosta la cosa. Per un anno fu tenuto come custode di un finto museo della finta salma di Togliatti. Pian piano gli vennero aggiunte spillette dell’Armata Rossa, uno Scuba appartenuto ad un cugino di Carpi di Stalin, un bersaglio per freccette con l’immagine di Mario Scelba, reperto originale dell’appennino tosco-emiliano negli anni ’50, e la tessera della coop che fu di Longo. Fu un anno fantastico, lui disse.
Poi però di colpo fu insediato un campo nomadi abusivo nelle sale dello pseudomuseo.
Il momento più drammatico fu quando urlò contro una zingarella di otto anni di togliersi la sottana appartenuta a Nilde Iotti che la stava strusciando per terra!
Tornò a far politica, ma qualcosa non funzionò del tutto. Oggi Diliberto ha duramente criticato l’amico Borghezio per la sua linea moderata, annunciando di voler dar vita ad un Movimento Antagonista per una Padania delle Origini. “Ricomincio dall’acqua del Po’”, ha testè dichiarato.

Pecoraro Scanio invece, rimproverato di non essere molto preparato, fu riportato alla realtà con
la terapia d’urto. Dapprima iscritto ad un corso di sopravvivenza di una settimana nella piana di Gioia Tauro, munito solo di un kit fotovoltaico composto da cinque semi di zucca OGM e una bandiera arcobaleno, fu poi messo a lavorare in una fonderia. La sera, stanco, tornava a casa e gli si faceva trovare sei giorni su sette un’emergenza rifiuti in salotto, con l’obbligo di differenziarla.

Vladimir Luxuria sparì nella notte. Lasciò la politica e continuò a ballare ed organizzare feste.
Forse a lui andò meglio che agli altri. Si sospetta per altro che dietro l’attentato alla fiancata del SUV della onorevole Gardini ci sia lei, ma mancano prove certe.

Grillini invece rimase a polemizzare ancora un po’ per conto proprio, querelando le istituzioni per la mancanza di rappresentanti omosessuali e lesbiche in parlamento. Dopo aver scritto un saggio sulla grammatica italiana in cui accusava questa materia di omofobia grammaticale per via della discriminazione sessuale operata dagli articoli determinativi in quanto quelli maschili “il lo gli” erano tre mentre quelli femminili “la” e “le” erano due, allestì un gay pride a casa sua con quasi sei invitati (gli altri erano normalmente al lavoro, Grillini organizzava sempre le cose di mercoledì alle 11…) rivendicandone il successo; fu improvvisamente arrestato per via di una soffiata telefonica in cui una voce né troppo femminile né spiccatamente maschile improvvisamente lo accusava di aver sfregiato la fiancata del SUV della onorevole Gardini. Poi tutti si scordarono di lui.

Boselli invece mollò tutto. Ogni tanto si vede al bar vicino al Parlamento, mentre gioca a tresette col morto insieme a Mariotto Segni e Pannella. Finchè passa De Michelis e gli frega le poste.

Dulcis in fondo, Uòlter Fitzgerald Veltroni, il predestinato, il Gorbaciov de Noantri, il Nuovo Occhetto. A lui fu rimproverata la mancanza di cattiveria, soprattutto dopo aver patteggiato i parlamentari residui in cambio di una retrospettiva su Elia Kazan e un album di figurine Panini del '65 (con Sivori ma senza Pizzaballa). Per rieducarsi, Uòlter, in un eccesso di ottimismo e determinazione, propose di ripulire le strade dai writer e ne bloccò uno nell’atto di vandalizzare una cassetta dell’enel. Ma fu brutalmente malmenato e la sua foto con gli occhiali cerchiati dalla bomboletta spray fece il giro di internet. Allora provò con gli atti di bullismo in una scuola elementare, ma anche qui gli rubavano sistematicamente la merenda e poi lo mettevano in mezzo facendogli lo schiaffo del soldato. Lui, puntualmente ringraziava i ragazzi per il confronto democratico.
Alla fine fu riciclato come autista del pullman elettorale di Schifani.


Tentò la fuga in tram
verso le sei del mattino
dalla bottiglia di orzata
dove galleggiava Milano
non fu difficile seguirlo
il poeta della Baggina
la sua anima accesa
mandava luce di lampadina
gli incendiarono il letto
sulla strada di Trento
riuscì a salvarsi dalla sua barba
un pettirosso da combattimento.
I polacchi non morirono subito
e inginocchiati agli ultimi semafori
rifacevano il trucco alle troie di regime
lanciate verso il mare
i trafficanti di saponette
mettevano pancia verso est
chi si convertiva nel novanta
era dispensato nel novantuno
la scimmia del quarto Reich
ballava la polka sopra il muro
e mentre si arrampicava
le abbiamo visto tutto il culo
la piramide di Cheope
volle essere ricostruita in quel giorno di festa
masso per masso
schiavo per schiavo
comunista per comunista.
La domenica delle salme
non si udirono fucilate
il gas esilarantepresidiava le strade.
La domenica delle salme
si portò via tutti i pensieri
e le regine del tua culpa
affollarono i parrucchieri.
Nell'assolata galera patria
il secondo secondino
disse a "Baffi di Sego" che era il primo
si può fare domani sul far del mattino
e furono inviati messi
fanti cavalli cani ed un somaro
ad annunciare l'amputazione della gamba
di Renato Curcio
il carbonaro
il ministro dei temporali
in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia
con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni
- voglio vivere in una cittàdove all'ora dell'aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue
o di detersivo -
a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile.
La domenica delle salme
nessuno si fece male
tutti a seguire il feretro
del defunto ideale
la domenica delle salme
si sentiva cantare
- quant'è bella giovinezza
non vogliamo più invecchiare -.
Gli ultimi viandanti
si ritirarono nelle catacombe
accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz'oretta poi ci mandarono a cagare
-voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
con i pianoforti a tracolla vestiti da Pinocchio
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l'Amazzonia e per la pecunia
nei palastilisti
e dai padri Maristi
voi avevate voci potenti
lingue allenate a battere il tamburo
voi avevate voci potenti
adatte per il vaffanculo
-La domenica delle salme
gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti
il cadavere di Utopia
la domenica delle salme
fu una domenica come tante
il giorno dopo c'erano segni
di una pace terrificante
mentre il cuore d'Italia
da Palermo ad Aosta
si gonfiava in un coro
di vibrante protesta.

Tuesday, April 15, 2008

La sedia del barbiere


Il Luogo della Metafisica non può essere che la sedia del Barbiere.
Grembiule al collo, capelli bagnati, levo gli occhiali e il mondo si spegne, mentre le forbici mi girano intorno separandomi da un passato fatto di capelli.
Gli specchi di sala s’accollano il mio riflesso per il tempo necessario, la filodiffusione commercia musica e riferisce il mondo, mentre i prodotti estetici si rinnovano sulle mensole grazie alle brillanti ricerche dei laboratuàr e a nuove imprevedibili mescolanze chimicoproteiche.
Le luci diffuse, i giornali in offerta di notizie, la passata di setole sul collo e tu non sembri nemmeno più tu: eh voilà, un mutuo d’immagine appena acceso.

Il barbiere, giorno dopo giorno, ha conosciuto il Mondo, perforandone la sostanza psicofisica dal marciapiede agli antipodi e piazzando la Bottega sul foro aperto, come a filtrarne le idee emerse.
Ha raccolto e sincretizzato la saggezza popolare, la sintesi dell’opinion pubblica e l’esperienza personale, consapevole che, mentre tutto scorre, ramazzato come i capelli a susseguirsi sul pavimento, lo Spirito invece si stratificava sulla sua figura, come un’abilità di forbice acquisita.
Il barbiere taglia via la lanuggine del collo ed i pensieri sovrabbondanti, definendoli come il rasoio di Occam.

Sabato mattina, ore sette del mattino, minutaggio indecifrato nel sonno.
La terra trema.
Mi sveglio, analizzo& realizzo: il terremoto.
Poi finisce, non è successo niente, son sempre le sette del mattino.

Ma al Barbiere de Lu Paese, la sala resta coinvolta sull’argomento.
Il Barbiere risoluto nonché indefesso, illustra la differenza tra l’ondulatorio e il sussultorio e spiega perché i lampadari non hanno tremato, salta con disinvoltura da un Richter ad un Mercalli e smentisce un luogo comune: “Questa volta anche li cani si so fatti li cazzi sii.”
Mai fidarsi, il terremoto è imprevedibile, ed è l’unica cosa che terrorizza chi non ha paura di niente, perfino il Barbiere.
Ricorda gli anni in cui c’è stato lo sciame sismico, ogni tot una scossa al circondario, che nemmeno si scendeva più.
Ricorda il terremoto del 1980, ed uno che dall’Irpinia era poi finito a vivere a Lu Paese: ci racconta che il poveraccio era seduto a tavola con tutta la famiglia, spalle al muro, quando il muro è finito in mezzo alla strada insieme a lui, mentre la famiglia è rimasta là, tra le macerie e la cena.

flashback 1
Astratto sulla sedia del Barbiere, anch’io ricordo.
Ricordo che era il 23 novembre 1980 ed io ero bambino in quel di Caserta.
Stavo giocando con Alfredo, dentro uno sgabuzzino di casa sua, quando le pareti iniziarono a scuotersi, tutto prese a cascare e io pensai che forse non era Alfredo che faceva lo scemo con le pareti.
I miei non c’erano e nemmeno i genitori di Alfredo. S’erano convinti ad andare a Napoli, in pulman, al teatro da Eduardo de Filippo. Stavamo con due babysitter di ventànni, io coll’amichetto mio, mia sorella coll’amichetto suo: 8 anni io, 3 lei. Il primo pensiero fu fare quei due piani di scale che ci separavano per sapere come stava, imparando al volo e d'istinto

che non bisogna prendere l’ascensore.
Ricordo la popolerìa riversate per strada a secchiate condominiali, i bambini che piangevano e le vecchie che arrochivano gli strilli ululando sui marciapiedi le marònne mie alla luna, la sera che arrivava e portava lo scuro nelle case svuotate, le radioline che dicevano degli epicentri e dei mercalli e io mi chiedevo se i palazzi crollavano per verticale o per orizzontale. La baby sitter fu in gamba, ci portò a casa sua. I miei arrivarono nella notte: mi raccontarono poi di lampadari oscillanti sul teatro, di gente in fuga che camminava su altra gente, di una donna in crisi epilettica, di una città attraversata da nord a sud in mezzo ai cornicioni che cadevano, del casuale intercetto di un autista di pullman che faceva servizio di linea e che voleva tornare a casa addò mammà, ma che si accollò l’onere del traspoto intercittadino, guidando a fari accesi come un pazzo nella notte, attraversando collane di paesini sulla statale, tra pianti, urla, fuochi accesi e polvere di crolli.
Fummo tra le pochissime famiglie che tornarono a dormire a casa.
I giorni successivi non si andò a scuola, ci abituammo ad osservare il filo del lampadario e a considerare plausibili le scosse di assestamento.

Poi pian piano, ricominciammo a far passeggiate col passeggino, l’uomo ragno affrontò il punitore nel numero in edicola e tutto tornò come prima.
Anni dopo, la terra trema di nuovo in Umbria.
Mi ritrovo a passare per Colfiorito, un epicentro sismico nascosto in un gruppo di case dimenticate su un altipiano. All'entrata del paese, una casa aperta come una lattina di sgombri, solo che nulla è sgombrato tranne la parete: poltrone, tavoli e mobili della sala da pranzo, stanno tutti là, esibite come il cartello "wilkommen ...".
La casa delle bambole, la chiamavano.

Il Barbiere nel frattempo è passato ad altri argomenti.
Adesso riferisce, in coro con la sala, delle vicissitudini di uno sfortunato matto del Paese, o’ Grillu.
O’Grillu oggi sta in un istituto psichiatrico, fuori, non da queste parti.Aveva tentato di ammazzare un poliziotto, una volta ci aveva dato una picconata al padre, chillu o ‘Grillu era pericoloso, teneva la schizofrenia omicida.
Ma non era stato sempre così. Sono stati l’alcol e la cocaina. E le pasticche. Ma no una, una scatola. Anche se magari era predisposto.Comunque non è mica l'ultimo ch'è finitu male.


...e anche qui, la memoria torna indietro.


flashback 2

Biennio ’92-’94. C’è il boom dei rave. E delle pasticche. CCCP, Batman, joker, simpson, missili, dragoni: acide o anfetaminiche, pareva non esistesse altro sotto al cielo. Io, spettatore laterale esterno, ho conosciuta qualche storia. Quella di R., è stata la peggiore. Non ero suo amico, lo salutavo appena, ma eravamo coetanei, forse lui qualcosa in meno.
Ci incrociavamo nelle estati agropontine: lui con la sua tribù, io con la mia, un po’ di cagnesco adolescenziale in mezzo. Me lo ricordo mentre imparava ad andare sul Si con una ruota sola, davanti al bar del moro.
Ma in quel biennio, tutti si affratellarono facilmente nella chimica dei segreti condivisi. Si strinsero alleanze, si partiva sabato dopo sabato per templi tecnobiblici che si chiamavano Red Zone o Baia Imperiale, si svolgevano Epiche Lisergiche a Perugia o a Rimini, si stava come d’estate sugli alberi le fragole, sì, proprio le fragole.
Non potevano durare, prima o poi la botanica della vita li avrebbe smentiti.
Un sabato pomeriggio, un controllo degli addetti alla pubblica sicurezza ai lati dell’autostrada fermò una macchina, e venne fuori che ciascuno con le proprie scorte d’edulcorazione per la notte. R. rifiutò ogni addebito, la colpa finì al più confuso, che si beccò una condizionale poi felicemente prescritta dalle istituzioni e dalla vita, ma i rapporti si distrussero.
R. continuò ancora un po’.
Qualche tempo dopo lo incontrarono sulla spiaggia d’inverno mentre camminava con un parente, la testa persa nel vuoto.
Per un paio d’estati, si vide ancora in giro, gonfio di farmaci, parzialmente scremato dalla nebbia, ma mai ritornato all’età che gli competeva. Preso in accudita simpatia dai più giovani, girava chiedendo di fare qualche tiro e spesso cantando una canzone andante che parlava di un falco che va, senza catene, che fugge gli sguardi perché sa che conviene, indifferente sopra la gente.
Un falco a metà.
Ma si aggravò. Pare risedesse stabilmente in clinica. Un giorno, si dice che preso da un raptus di lucidità e da un irrefrenabile rimorso, aprì la finestra dell’ospedale e completò il volo per sempre.


Il Barbiere mi chiede se li lascio naturali o ci voglio un po’ di gel.
Naturali, grazie.
Poi dicono che non ci vado mai a tagliarmi i capelli.


Sono seduto su un grattacielo
vedo gli aerei passare
poi guardo giù voglio saltare,
voglio imparare a volare.
E allora volo via,
siamo in viaggio io e la mente mia
guardami ho già spiccato il volo
ed ora sono proprio sopra casa tua.
Il falco va senza catene,
sfugge agli sguardi sa che conviene
è indifferente sorvola già,
tutte le accuse boschi e città
io che son falco, falco a metà….
Sono di nuovo sul grattacielo

ed ho imparato a volare
se guardo giù quello che vedo
ora è la gente passare
E chissà se questo è
il segreto per vivere con me
seduto su un grattacielo devo stare,
in alto come un falco
per non farmi catturare.
Il falco va senza catene,
sfugge agli sguardi sa che conviene
è indifferente sorvola già,
tutte le accuse boschi e città
io che son falco,
falco a metà…

Thursday, April 10, 2008

L’algoritmo sbrandato della Primavera


Era un Inverno freddo, in cui avevamo spesso avuto freddo.
Quando arrivò la Primavera, era così malridotta che non si reggeva in piedi, non era plausibile, sembrava sua nonna con la pioggia: un arcobaleno di grigio umido.
L’inverno vide Nonnavera e gli disse “Signora! Ma dove è stata a svernare, in mezzo ai zingari?”
L’inverno è famoso per il suo senso dell’umorismo: aveva questo iperrealismo grottesco che faceva ridere solo lui.
Tuttavia, con compitezza carabiniera, la fece entrare nel suo marzo, le trovò na branda andò buttasse e la lasciò ad asciugarsi le ossa, accollandosi il turno supplementare.
Noi decifravamo questo codice stagionale attraverso l’insostenibile vacuità dei mandorli e la persistenza delle pozzanghere.
Tra noi non si scherzava a raccogliere ortiche, le raccoglievamo e basta, urticandoci per il prurito e seccandoci per la perdita di tempo.

Nonnavera però quell’anno aveva accusato il colpo. Non era più una giovanotta e neanche voleva lo fossero gli altri: come una vecchia mai stata moglie, senza più figli e senza più voglie si prese la briga e non so se anche il gusto di dire a tutti “Ahò, non ce la fò più a stipendiare tutti i vostri umori! Non vi posso mica imboccare per tutta la vita!”
Così, come un’evasione fiscale, la Primavera scomparve clandestina tra le stagioni che non si usano più, lasciandoci ancora una volta a convenire che era meglio fidarsi solo delle proprie forze, perché dall’esterno nessuno avrebbe fatto niente. Tutto il futuro alle spalle. Le vacche grasse e le rose&viole sono unce upon agò dei vecchi tempi, fantasmi nei castelli: fuori ci sono i draghi.

Ai Nostri Tempi, però studiamo San Giorgio da Mr. Blutarsky.
Sappiamo per aver visto Animal House e non certo per il catechismo e l‘accademia, che qui non finisce proprio niente, come dopo il bombardamento tedesco a Pearl Harbour, e che nè Niedermeyer nè i draghi, ci impediranno di farci una Primavera fatta in casa.

Cosa ci mettiamo nella Primavera, un gelato grande al pistacchio? ristudiare la Rivoluzione Francese? un film in bianco e nero alla tv? un percorso di quattro giorni nei boschi? un concerto più vivo degli altri? i bucatini alla matriciana? una pelle bellissima? un libro che non pensavamo avremmo mai letto? il nostro turno di far festa? una gioia attesa da tempo? Ficca tutto dentro e via andare: noi lo facciamo per passione.

Facciamoci il nostro algoritmo.
Sbrandiamoci la Primavera da soli, basta primavere a cottimo.
Come dicevano per altri No Future: if the kids are united they will never be divided.

La chiamavano bocca di rosa
metteva l'amore, metteva l'amore,
la chiamavano bocca di rosa
metteva l'amore sopra ogni cosa.
Appena scese alla stazione
nel paesino di San Vicario
tutti si accorsero con uno sguardo
che non si trattava di un missionario.
C'è chi l'amore lo fa per noia
chi se lo sceglie per professione
bocca di rosa né l'uno né l'altro
lei lo faceva per passione.
Ma la passione spesso conduce
a soddisfare le proprie voglie
senza indagare se il concupito
ha il cuore libero oppure ha moglie.
E fu così che da un giorno all'altro
bocca di rosa si tirò addosso
l'ira funesta delle cagnette
a cui aveva sottratto l'osso.
Ma le comari di un paesino
non brillano certo in iniziativa
le contromisure fino a quel punto
si limitavano all'invettiva.
Si sa che la gente dà buoni consigli
sentendosi come Gesù nel tempio,
si sa che la gente dà buoni consigli
se non può più dare cattivo esempio.
Così una vecchia mai stata moglie
senza mai figli, senza più voglie,
si prese la briga e di certo il gusto
di dare a tutte il consiglio giusto.
E rivolgendosi alle cornute
le apostrofò con parole argute:
"il furto d'amore sarà punito
- disse- dall'ordine costituito".
E quelle andarono dal commissario
e dissero senza parafrasare:
"quella schifosa ha già troppi clienti
più di un consorzio alimentare".
E arrivarono quattro gendarmi
con i pennacchi con i pennacchi
e arrivarono quattro gendarmi
con i pennacchi e con le armi.
Il cuore tenero non è una dote
di cui sian colmi i carabinieri
ma quella volta a prendere il treno
l'accompagnarono malvolentieri.
Alla stazione c'erano tutti
dal commissario al sagrestano
alla stazione c'erano tutti
con gli occhi rossi e il cappello in mano,
a salutare chi per un poco
senza pretese, senza pretese,
a salutare chi per un poco
portò l'amore nel paese.
C'era un cartello giallo
con una scritta nera diceva
"Addio bocca di rosa
con te se ne parte la primavera".
Ma una notizia un po' originale
non ha bisogno di alcun giornale
come una freccia dall'arco scocca
vola veloce di bocca in bocca.
E alla stazione successiva
molta più gente di quando partiva
chi mandò un bacio,
chi gettò un fiore
chi si prenota per due ore.
Persino il parroco che non disprezza
fra un miserere e un'estrema unzione
il bene effimero della bellezza
la vuole accanto in processione.
E con la Vergine in prima fila
e bocca di rosa poco lontano
si porta a spasso per il paese
l'amore sacro e l'amor profano

Thursday, April 03, 2008

petroso&selvaggio


Mentre ci svezzavano coi rudimenti della democrazia, fin da bimbi apparve chiaro che tutte quelle cortesie che formavan corpo nell’educazione civica e avevano come corollario il non gettare le carte per terra, non si applicavano sempre e dovunque.

Le regole erano diverse, per esempio, nei film dei Cow Boys e degli Indiani.
Vi era sicuramente un aspetto petroso&selvaggio in quel West.
Per sopravvivervi dovevi essere un messicano col cordiglione di pallottole al collo o un cactus di rilevanti spinoni. Gli stivali s’impolveravano sulle piste e gli speroni spronavano i mustangs.
Ogni giorno si consumavano pallottole e non solo contro i barattoli. Ogni momento poteva entrare nel saloon un gringo venuto da una lontana road to nowhere per regolare i conti di quanto successo anni prima a Tucson o a Santa Fè: i presenti erano tutti coinvolti, tranne il pianista, forse.
Quella vita primordiale richiedeva durezze e non lesinava brutalità. Non importa se tu fossi muso rosso o viso pallido, quando devi sparare mira al cuore, Ramon, al cuore.
La sera un poker col whisky, la compagnia della compiacente Jane (pagando s’intende), e di nuovo in marcia, verso le gole del Colorado.
A meno che tu non fossi mormone, nel qual caso ci si stanziava su qualche pascolo e si leggeva la bibbia ogni tre per due (almeno sei volte, quindi).

Lo sceriffo sapeva il fatto suo.
Il baro finiva male.
Prete prepara la chiesa per il funerale.

Non c’erano telefoni ma si parlava coi segnali di fumo.
A volte, se eri un viaggiatore su una diligenza, rischiavi di essere attaccato dagli indiani – nel qual caso era meglio uccidersi da soli – o dai feroci banditi della banda di Santana, che lo sapevano tutti che erano loro pure se avevano il volto coperto da un fazzoletto. Il destino era comunque segnato.
Ma non ti andava meglio se eri indiano: le tende del tuo accampamento potevano essere attaccate nottetempo da qualche reggimento di soldati e pure là, si sa, sparavano a vista senza stare troppo a distinguere per sesso, età e religione.

Nei verdi pascoli del cielo, poi, tutto s’ammescolava.

Il west è finito dopo l’arrivo del treno e la diminuzione dei cavalli. Non è più nemmeno tanto romantico, oggi ne siamo consapevoli.

Neanche l’educazione civica sta però tanto bene.
Le regole sono diventate quelle del west.


Tico Palabra, non è una fotografia
è un guerrigliero
per qualcosa che va via
un capitolo da scordare
di quest'antologia.
Tico Palabra, non ha niente
da inseguire questa notte
gira per la capitale
con le ossa rotte
dal vino e dall'amore.
Però ha fortuna
è un antico volatore
un venditore
nella luce della sera
si distingue appena
se si confonde bene.
La stessa fortuna, amore
dietro le persiane chiuse ha quella luna
niente da sapere, niente
niente questa notte
nemmeno da cantare.
E Tico Palabra, gratterà via
dal portone quella luna
noi non sentiremo e lui
continuerà da solo
così com'è abituato.
Tico Palabra,
non è una malinconia
è un guerrigliero
per qualcosa che va via
un capitolo "fratello"di questa vita tua
e mia.



Wednesday, April 02, 2008

Natura morta con Arsenal


Lascia una pera fuori dal frigo, la pera in capo a pochi giorni avvizzisce. Se questa non è una metafora dell'essere transeunte proprio dell'umano divenire, "e" non sarebbe uguale ad "emmecì due" e tutti si sentirebbero liberi di dire la propria perchè allora famo come cazzo ci pare.

La pera rotola sul crinale cronologico, prende la direzione del tempo e s'imbarca sulla vecchiaia, più o meno uniformemente trasportata da un vettore verso il bordo dell'oceano, da dove partirà per un forever forse in the sky with diamonds.

La memoria non è però una pera. Non rotola, come l'acqua straborda dalla ciotola del volontarismo consapevole e prende la forma che incontra, come quando sogni di parlare con qualcuno, e quel qualcuno, che dovresti essere tu, quantomeno come regista, afferma, perentorio, ensambli di concetti che non sapevi avrebbe detto.

La memoria fa in modo che durante il giorno, mentre salvi con nome il file excel su cui lavori, per un attimo vedi il cortile dove stavi giocando a nascondino, l'esame di diritto costituzionale e il corso di san benedetto del tronto dopo una mostra. Senza nessuna contingenza logica. Ti ricordi di qualcuno che hai visto dieci anni fa e poi quasi sicuramente te lo scordi per altri dieci anni o per sempre. La memoria è per sua natura secessionista, rivendica autonomia, non sopporta la coscienza di stato. Il vezzo di catalogarla è solo un'attitudine fideista.

Cosa ci facevano oggi dall'oculista massimo e un pomeriggio a torvajanica? è mai possibile che nel traffico dell'ardeatina mi sia sentito ad un campeggio di orbetello? E luca, che non vedevo da anni e che infatti nemmeno ho visto oggi, avrà mangiato pure lui un panino quando non ci siamo incrociati al supermercato? cosa centra villa lazaroni verso le sette di sera con il fatto che ho ordinato un timbro a Buffetti? e quella volta che nel mare a Sabaudia... proprio mentre segnava l'Arsenal.

La memoria irrompe, scavalca, esce dalla porta e rientra dalla finestra.

La memoria che forse viene a chiamarci quando è ora di uscire.

La memoria sovrincisa alle pere.

Ti ricordi una volta
Si sentiva soltanto il rumore del fiume la sera
Ti ricordi lo spazio
I chilometri interi
Automobili poche allora
Le canzoni alla radio
Le partite allo stadio
Sulle spalle di mio padre
La fontana cantava
E quell'aria era chiara
Dimmi che era così
C'era pure la giostra
Sotto casa nostra e la musica che suonava
Io bambina sognavo
Un vestito da sera con tremila sottane
Tu la donna che già lo portava
C'era sempre un gran sole
E la notte era bella com'eri tu
E c'era pure la luna molto meglio di adesso
Molto più di così
Com'è com'è com'è
Che c'era posto pure per le favole
E un vetro che riluccica
Sembrava l'America
E chi l'ha vista mai
E zitta e zitta poi
La nevicata del '56
Roma era tutta candida
Tutta pulita e lucida
Tu mi dici di sì l'hai più vista così
Che tempi quelli Roma era tutta candida
Tutta pulita e lucida
Tu mi dici di sì l'hai più vista così
Che tempi quelli.