Friday, November 24, 2006

sacchetti di sabbia



Che io abbia un debole per De Gregori va consolidandosi ogni giorno di più.
Mi si infila in mezzo alle follie del quotidiano. In mezzo alle parole con le doppie punte che ascolto dai salariati adempienti.
Mi caratterizza come la barba e i capelli. Come il non sapermi nascondere dietro un dito di cravatta o una rasatura impeccabile.
Mi sveglia il senso del sacro, mentre intorno è bestemmia, bestemmia pulita però, che possa entrare in chiesa.
Mi ricorda le parole infilate nel contesto, nel contesto degli occhi s’intende, non nel dissesto delle parole franate per caso e per dovere nei luoghi comuni.

I matti ci assomigliano più del previsto.

Mi ricordo Tà-Bùm sul 765, diceva di essere una principessa e imitava il rumore dei mortaretti. Quelli che forse le avevano tirato tra i piedi i figli del principe.
E l’indiana sulla Laurentina, con infinite borse di plastica e cibo per gatti, e forse un coltello da cucina nascosto dietro gli angoli della bocca.
E l’uomo che aspettava gli autobus, pettinato di vino in cartone, sempre in lotta con lo strabismo di venere, ma di venereo non c’era molto altro.

Sarà follia quella dei matti?
Spesso penso che l’idea di dare un senso e una direzione agli eventi stia facendo il suo tempo, come una civiltà micenea. Il senso della civiltà grecogiudaica naufraga, s’immonnezza e si frantuma, sostanzialmente non comporta più convenienze superiori alle pulsioni distruttive. Il brodo primordiale fa acqua da tutte le parti.
Ognuno allora il senso se lo dia da sé, finchè morte non lo separi. Oppure facciamo piccoli gruppi autarchici. I matti hanno già messo i sacchetti di sabbia alla finestra. Avevano già messo di crederci tempo fa.


I matti vanno contenti,
tra il campo e la ferrovia.
A caccia di grilli e serpenti,

a caccia di grilli e serpenti.
I matti vanno contenti
a guinzaglio della pazzia,
a caccia di grilli e serpenti,
tra il campo e la ferrovia.
I matti non hanno più niente,
intorno a loro più nessuna città,
anche se strillano chi li sente,
anche se strillano che fa.
I matti vanno contenti,
sull'orlo della normalità,
come stelle cadenti,
nel mare della Tranquillità.
Trasportando grosse buste di plastica
del peso totale del cuore,
piene di spazzatura e di silenzio,
piene di freddo e rumore.
I matti non hanno il cuore
o se ce l'hanno è sprecato, è una caverna tutta nera.
I matti ancora lì a pensare a un treno mai arrivato
e a una moglie portata via da chissà quale bufera.
I matti senza la patente per camminare,
i matti tutta la vita, dentro la notte, chiusi a chiave.
I matti vanno contenti, fermano il traffico con la mano,
poi attraversano il mattino,
con l'aiuto di un fiasco di vino.
Si fermano lunghe ore, a riposare,
le ossa e le ali, le ossa e le ali,
e dentro alle chiese ci vanno a fumare,
centinaia di sigarette davanti all'altare

Monday, November 20, 2006

un giorno in più

E' una vita che il 21 novembre è un giorno come un altro. Non c'è natale nè pasqua, nemmeno carnevale e neanche si va al mare, più facile che sia un lunedì piuttosto che il giorno dei giorni, spesso piove, magari cinque minuti ma piove, tanto per rompere il cazzo proprio in quei cinque minuti ma piove, e però nemmeno piove di quegli scrosci di pioggia che sottocoperta fanno lo sturm and drung col bolero di ravèl, puoi vincere un collirio di stagione, puoi testimoniare la capienza dei pub, puoi progettare un viaggio mentre gli aerei già volano in alto tra new york e mosca, ma senza di te, con tutta calma lo stesso.Puoi non esserci. Puoi rimandare di un giorno. Puoi dire che anche oggi hai visto gente e fatto cose.
Puoi avviare un countdown, per un week-end, per una soluzione temporanea d'impresa, per la prossima volta che vedrai kill bill.
Anzi,kill bill 2.

Il 21 novembe dovrebbe essere considerato festività soppressa.

Storie di tutti i giorni,
vecchi discorsi sempre da fare,
storie ferme sulle panchine
in attesa di un lieto fine;
storie di noi brava gente
che fa fatica, s’innamora con niente,
vita di sempre, ma in mente grandi idee.
Un giorno in più che se ne va
un orologio fermo da un’eternità
per tutti quelli così come noi
da sempre in corsa, sempre a metà;
un giorno in più che passa, ormai,
con questo amore che non è grande come vorrei.
Storie come amici perduti

che cambiano strada, se li saluti;
storie che non fanno rumore
come una stanza chiusa a chiave;
storie che non hanno futuro,
come un piccolo punto su un grande muro
dove scriverci un rigo
a una donna che non c’è più.
Un giorno in più che se ne va,
un uomo stanco che nessuno ascolterà
per tutti quelli così come noi
senza trionfi, né grossi guai;
un giorno in più che passa ,ormai,
con questo amore che non è bello come vorrei.
Storie come anelli di fumo

in un posto lontano, senza nessuno
solo una notte che non finisce mai.
Un giorno in più che se ne va
dimenticato fra i rumori di città,
per tutti quelli come noi
niente è cambiato e niente cambierà;
un giorno in più che passa ormai
con questo amore
che non è forte come vorrei.
Storie di nemici perduti

che cambiano stradase li saluti
storie che non fanno rumore
come una stanza chiusa a chiave
storie che non hanno futuro
come un piccolo buco
su un grande muro
dove scriverci un rigo
a una donna che non c’e’ piu’
Un giorno in piu’ che se ne va

un uomo stanco
che nessuno ascoltera’
per tutti quelli cosi’ come noi
senza trionfi ne’ grossi guai
un giorno in piu’che passa ormai
con questo amore
che non e’ bello come vorrei…
Storie come anelli di fumo

in un posto lontano
senza nessuno
solo una notte che non finisce mai
Un giorno in piu’ che se ne va
dimenticato tra i rumori
di citta’per tutti quelli cosi’ come noi
niente e’ cambiato
niente cambiera’un giorno in piu’
che passa ormai
con questo amore
che non e’ forte come vorrei

Wednesday, November 15, 2006

Io e bingo


Quando SergioCaputo canta Bingo, mi rendo conto che il dragastelle Mon Amour, di cui parla, l’ho costruita anch’io, in luogo della mente, forse un’isola di niente, in cui si sposta la resistenza di un ragazzino magro che, cantava sempre insieme a me.
Coi piedi per terra resisto poco, tra una richiesta di raschio sul prodotto interno salariale di questi giorni operai e una dimostrazione di mostruosità sociale con annessa deriva dei continenti, succede, signora mia, che qui la notte è buia, e ci sei di mezzo tu… tùtù tutù-tututtutù-tù – walk on the wild side - e ricordo un viale con i platani, avevo un paio di galoche, prendevo tutte le pozzanghere.


Niente da fare coi piedi per terra mi si annebbia la vista, mi si ingrossa il padellotto di frattaglie interiori, s’attanaglia la milza e si demotivano i tendini. E poi mi perdo le ricevute delle raccomandate, ritardo agli appuntamenti che non sapevo di avere, trovo sul pavimento di casa perni e fustelli di non so che mobili, poi non so dove metterli, finisco gli amari senza preavviso, mi lascio prendere da ipotesi di convenienze sulla spesa, seduco librerie che mi concedono le loro pagine più vistose e poi mi chiedono di finire i libri che comincio, mi si tagliano le unghie quasi da sole, si insinuano connivenze furtive coi fantasmi rannicchiati in sala d’attesa. Darei pure l’acqua alle piante se ne avessi e se parlassero un po’.
Coi piedi per terra e con le nostre famose facce da idioti, in fondo sai spesso prima la frase che viene dopo: “Domani è un altro giorno”,”Francamente me ne infischio”. Ammazza che palle la vita in questa valle.

Coi piedi per terra e i movimenti scoreografici, se ci scostiamo da via cesare pavese, via baldo degli baldi, piazza Cavour e via oderisi da gubbio, potremmo pure meritarci una prospettiva panoramica malgado l’ assenza di toscana dal balcone, di umbria dietro l’angolo o di abruzzo a un tiro di schioppo, ora che alcune foglie acquistano un giallo così prossimo al colore dei boschi.
Coi piedi per terra ma quando mai ci entriamo nei boschi? Mi vuoi portare nel boschetto? Io sognavo una mousse di fragole. Poi mi hanno chiamato al telefono, sti stronzi.

Senza piedi per terra, abbiamo scritto t’amo sulla spiaggia e the end nel cielo limpido, tempera, e non volevamo tornare giù. Ci rivedremo in un De Chirico.

Pianeta terra, parla albatros
dal dragastelle "mon amour"
... ricevo chiara vostra immagine...
yes i do... yes i do... yes i do...
(oggi è primavera... sono le sei di sera, qui nella stratosfera...)
La vita a bordo è un po' monotona...
si svolge intorno a una consolle...
e per i fabbisogni erotici c'è un robot...
c'è un robot... c'è un robot...
L'ho battezzato "mousse di fragola"...
è una graziosa donna bionica...
somiglia ad Ava Gardner giovane... giovane...
è stata fabbricata ad Hollywood...
Bingo torna giù...
(que pasa... que pasa)
Bingo torna giù...
Bingo torna giù...
(que pasa... que pasa)
Bingo torna giù...
Ricordo un viale con i platani...
avevo un paio di galoche
prendevo tutte le pozzanghere,
e qui... non si può... non si può... non si può...
Si allontanò fischiando "Yesterday"...
la lingua oscura delle rondini
scrisse "the end" nel cielo limpido... tempera...
non c'era whisky nel suo alibi...
Bingo torna giù...
(que pasa... que pasa)
bingo torna giù... Bingo torna giù...
(que pasa... que pasa) bingo torna giù...
Addio mia bella paperopoli...
forse mai più ti rivedrò
saluti e baci ai mostriciattoli... do you know...
do you know... do you know...
Pianeta terra parla albatros...
ci rivedremo in un Dechirico...
Bingo torna giù...
(que pasa... que pasa)
bingo torna giù...

Monday, November 13, 2006

fori fa' pure freddo e come piove...


Ci chiamano dalle sudate agende del non libero arbitrio.
Ci chiamano a cospargere il circostante e l’attuale di adempienze scadenzate.
Ci chiamono dicendo “io” “io”, me devi da retta ammè, sbrigate corri, vieni, ma ndò vai, torna, riparti, alzati, muoversi muoversi...

“Ragà-zziiiii .. su forza che la ricreazione è finita, raccogliete il cancellino e concentratevi sul da farsi.”
Il cancellino disco volante in fronte, era un modo per dire no, dai, non rompeteci il cazzo, altri cinque minuti…

Altri cinque minuti, stamattina non m’andava proprio
Altri cinque minuti, resta cummè, numme lassà
Altri cinque minuti e prendevo il treno
Altri cinque minuti e avrei spiegato tutto
Altri cinque minuti e poi mi sconnetto
Altri cinque minuti e il tempo non s'innamora due volte di uno stesso uomo
Altri cinque minuti e arrivo, sto aspettando Godot.
Altri cinque minuti e poi vado a dormì
Altri cinque minuti e ti salto addosso
Altri cinque minuti, fatto trenta facciamo trentacinque
Altri cinque minuti, si sta proprio bene qui
Altri cinque minuti, ecchecazzo!
Altri cinque minuti poi tanto dopo alla fine, infatti sì
Altri cinque minuti solo stavolta
Altri cinque minuti che poi …fòri fa pure freddo ...e come piove
Altri cinque minuti , oh ma lo sai che me sò ricordato?
Altri cinque minuti, la puntualità è una brutta bestia
Altri cinque minuti, il bicchiere della staffa
Altri cinque minuti, giusto il tempo di una sigaretta
Altri cinque minuti dieci venti trenta quaranta quarantacinque.

Vabbè.
Annamose a raccoje sta frittata …




Aoh, che c'e, nessuno te conosce come me...

ho già capito tutto, da quanno t'hanno detto che so' matto,
c'hai paura de qualche mia pazzia,
magari che de botto vada via
ma all'età mia, 'ndo vado?
Io so' 'n guerriero che sta riposanno
dopo che ha rivortato mezzo monno
ma ormai c'ho er doppio petto e la cravatta
'ndo voi che vada viè , nun fa la matta.
Tu ormai pe' me sei l'ultima occasione;
sei giovane; sei bella e me stai bene,
te pare poco dì, te pare poco,
nun devi ave'paura io nun gioco,
io qui sto rilassato e chi se move,
fori fa pure freddo e come piove...
Me 'nnamoro de te se no che vita è
Lo faccio 'n po' pe' rabbia,
un po' pe' nun sta solo
come sta solo 'n omo nella nebbia
perché nun po' parla' manco cor cielo...
Me 'nnamoro de te lo devo fa' pe' me
me serve 'n' emozione
come me serve er pane
'sta vorta ce la vojo mette' tutta
me devo 'nnammora' vado de fretta...
Me 'nnamoro de te se no che vita è
sei l'urtima rimasta devi esse' quella giusta
senza sforzamme già te vojo bene
spero che duri 'n po' de settimane...
Io qui sto rilassato e chi se move
fori fa' pure freddo e come piove...

Friday, November 10, 2006

e il vento ci prende per vela























Non sarà il canto delle sirene che ci innamorerà,
noi lo conosciamo bene, l'abbiamo sentito già,
e nemmeno la mano affilata,
di un uomo o di una divinità.
Non sarà il canto delle sirene in una notte senza lume,
a riportarci sulle nostre tracce,
dove l'oceano risale il fiume,
dove si calmano le onde, dove si spegne il rumore.
Non sarà il canto delle sirene, ascoltaci o Signore.
Mio padre era un marinaio, conosceva le città,
mio padre era un marinaio, partito molti mesi fa.
Mio figlio non lo conosce, mio figlio non lo saprà,
mio padre era un marinaio, partito molti mesi fa.
Non sarà il canto delle sirene, nel girone terrestre,
ad insegnarci quale ritorno, attraverso alle tempeste,
quando la bussola si incanta, quando si pianta il motore.
Non sarà il canto delle sirene ad addormentarci il cuore,
quando l'occhio di Ismaele si affaccia da dietro il sole,
e nella schiuma della nostra scia qualcosa appare e scompare.
Non sarà il canto delle sirene che non ci farà guardare.
Mio padre era un marinaio e andava a navigare,
se l'è portato il vento, se l'è portato il mare.
Mio padre era un marinaio, girava le città,
mio figlio non le conosce, ma le conoscerà.
Non sarà il canto delle sirene che ci addormenterà,
l'abbiamo sentito bene, l'abbiamo sentito già,
ma sarà il coro delle nostre donne, da una spiaggia di sassi.
Sarà la voce delle nostre donne, a guidare i nostri passi,
i nostri passi nel vento, e il vento ci prende per vela.
Sarà di ferro la sabbia, sarà di fuoco la terra.
Ascoltaci o Signore, perdonaci la vita intera.
Mio padre era un marinaio, conosceva le città,
partito il mese di febbraio di mille anni fa,
mio figlio non lo ricorda, ma lo ricorderà, mio padre era un marinaio,
mio figlio lo sarà

Wednesday, November 08, 2006

freddo chiaro


Questi lampi di basso
Di come as you are
Mi ricordano un inverno di diversi anni fa.
L’angelo con claudia koll alla tv.
Il freddo stacca in cielo

sempre sulle stesse note.
Senti denti affilati
E occhidibrace accesi

E’ tempo di fare i conti.
La biologia delle castagne
In quest’inverno sottozero
come un film in bianco e nero

E tutto quello che c’era a gennaio
non è altro che vecchia memoria,
è passata l’acqua sotto i ponti
e li ponti non so soli,
e sotto i ponti non ci finiamo.
I conti fanno tot a settimana.
I conti non fanno la felicità

i conti non sò piezz’e còre.

As an old memory
Il ricordo del futuro che aspetto.
No I dont have a gun.


Come as you are, as you were,
As I want you to be
As a friend, as a friend, as an old enemy.
Take your time, hurry up
The choice is yours, don't be late.
Take a rest, as a friend, as
an old memoria Memoria

Come dowsed in mud,
soaked in bleach
As I want you to be
As a trend, as a friend,
as an old memoria Memoria
And I swear that I don't have a gun
No I don't have a gun
Memoria
And I swear that I don't have a gun
No I don't have a gun

Tuesday, November 07, 2006

velleitarismo de nosotros


Quelli i nonni stavano in campagna, dispersi sul territorio appeninico, nell’entroterra di una campagna dove si parlava solo dialetto. Invece i figli dei nonni studiando e facendosi spazio nel dopoguerra, arrivarono a trasferirsi a Roma. Roma si riempì d’appartamenti, di quartieri e di negozi, i dopoguerrristi fecero le rate per le lavatrici, intasarono il lungotevere, coltivarono l’inquinamento, lavorarono per una vita, ebbero dei diritti, nutrirono&crebbero la terza generazione, la seconda che non vide guerre&mortinguerra sul fronte, questa generazione si puffò negli anni ottanta, si sgrungiò nei novanta, e oggi non fa molti figli, non si può permettere appartamenti, gli pesano le rate del riscaldamento, non si cambiano gli occhiali, sono ogni mese un po’ più poveri fuori. E belli dentro.

Se vuoi, ti compro un sottomarino.

...senti però...
che me presti un par d'euro
pè le sigarette che non ho spicci?

Una regina come te in questa casa?
Ma che succede? Ma siamo tutti pazzi?
Ma io adesso sai che cosa faccio?
Che ore sono? Le undici?
Io fra - guarda - fra cinque ore sono qua
e c’hai una casa con quattordici stanze,
te lo faccio vedere chi sono io.
E che sono quei cenci che hai addosso?!
ma che è, ma fammi capire…
ma senti… ma io… ma come!
Tu sei… sei la mia…
e stiamo in questa stamberga coi cenci addosso!
Ma io adesso esco, sai che cosa faccio?
ma io ti porto… una pelliccia… di leone…
con l’innesto di una tigre.
Te lo faccio vedere chi sono io.
Senti, intanto però c’è un problema:
siccome devo uscire, mi puoi dare mille lire per il tassì
in modo che arrivo più in fretta a risolvere
questo problema volgare che abbiamo?
Te lo faccio vedere chi sono io,
lascia fare a me, lascia fare a me, lascia fare a me perché… ti devi fidare.
Ma che cosa ti avevo detto, una casa?
Ma io sai che cosa faccio?
Ma io ti compro un sottomarino.
Perché? Se qui davanti a casa nostra
quelli c’hanno la barca e rompono le scatole,
io ti compro un sottomarino!
Così, sai, li fai ridere tutti, questi, hai capito?
Intanto facciamo una cosa, che fra cinque ore sono qua:
tu metti la pentola sul fuoco,
ci facciamo un bel piatto di spaghetti al burro
mentre aspettiamo il trasloco,
poi ci ficchiamo a letto
e te lo faccio vedere chi sono io: ti sganghero!
Te lo faccio vedere chi sono io!
Te lo faccio vedere chi sono io,
sono un uomo asociale ma sono un uomo che ti…
Io non ti compro il sottomarino: ti compro un transatlantico.
Basta che tu non scappi, stai attenta che… se scappi col transatlantico ti affogo nel… nell’Oceano Pacifico. Dai, dai, coricati, vai che ti sganghero, te lo faccio vedere chi sono io!

Friday, November 03, 2006

inverno


Non mi fido dell’inverno, non avevo nostalgia dei maglioni, la prevalenza degli ambienti chiusi, l’importanza dei termosifoni, le mani fredde, la luce finta, il tè delle cinque per scaldare le mani, stasera si sta a casa, domani pure, dopodomani piove, che fai a capodanno, mancano ancora due mesi, l’otto dicembre l’albero, il natale, devo comprà un regalo, una sciarpa pè zia un libro pè quell’altro, io non vengo ho la febbre, tanti auguri anche a te, ho messo il piede in una pozza, ho i calzini bagnati, è di nuovo natale, preferisci il pandoro o il panettone, babbo natale finto che si arrampica sui balconi, babbo natale robò d’acciaio che sghignazza, cazzo te ridi a pupazzo demmèrda, l’austerity, i consumi degli italiani, siamo tutti più buoni, siete i soliti stronzi, s’è appannato il vetro della macchina, se continua così quest’anno fa la neve, non c’è il cielo da neve e hai visto quanto si sono accorciate le giornate ?

I carciofi, le puntarelle, gli asparagi, i mandarini.
Almeno quelli.
E qualcosa di caldo.

Sale la nebbia sui prati bianchi
come un cipresso nei camposanti
un campanile che non sembra vero
segna il confine fra la terra e il cielo.

Ma tu che vai, ma tu rimani
vedrai la neve se ne andrà domani
rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un'altra estate.

Anche la luce sembra morire
nell'ombra incerta di un divenire
dove anche l'alba diventa sera
e i volti sembrano teschi di cera.

Ma tu che vai, ma tu rimani
anche la neve morirà domani
l'amore ancora ci passerà vicino
nella stagione del biancospino.

La terra stanca sotto la neve
dorme il silenzio di un sonno greve
l'inverno raccoglie la sua fatica
di mille secoli, da un'alba antica.

Ma tu che stai, perché rimani?
Un altro inverno tornerà domani
cadrà altra neve a consolare i campi
cadrà altra neve sui camposanti
.